Americani e russi si parlano, ma nessun negoziato si fa senza l'Ucraina. Il malore di Lavrov

Micol Flammini

Il capo della delegazione russa del G20 a Bali evita Biden ma non nasconde le passioni occidentali, tra iPhone, Apple Watch e Basquiat

Il presidente russo, Vladimir Putin, lascia parlare gli altri. Primo fra tutti un confuso Dmitri Peskov che, a ogni conferenza stampa, sembra avere le idee sempre meno chiare su cosa dire e preferisce dare risposte vaghe e variamente interpretabili. Per esempio: come leggere la visita di Volodymyr Zelensky nella città liberata di Kherson? Il portavoce del Cremlino ha risposto che quella è Russia, senza specificare se quindi a Mosca avessero preso l’arrivo di Zelensky e della bandiera ucraina come un segnale ostile, un’invasione o una visita di cortesia. Fatto sta che il presidente ucraino è andato in prima linea, mentre Putin non ha mai visto la città che pretende di aver annesso. L’opposizione russa inizia a dare una definizione puntuale sulla forma di governo che si sta sviluppando in Russia: una dittatura senza dittatore. Perché Putin non si vede, vive attraverso dei comunicati e forse annullerà la grande conferenza stampa annuale in cui era solito far conoscere le sue idee sulla Russia e sul mondo, e se davvero il presidente non si presenterà davanti a giornalisti e cittadini sarà difficile sapere cosa pensi di fare con la guerra che sta perdendo.  L’attività diplomatica non si è mai fermata e dopo la ritirata russa da Kherson e l’ingresso dell’esercito di Kyiv sembra essersi fatta ancora più intensa. 

 

Lunedì 14 novembre si sono incontrati ad Ankara il direttore della Cia, Bill Burns, e il capo del Consiglio di sicurezza russo, Sergei Naryshkin. L’incontro non era annunciato ma è stato rivelato da  un’indiscrezione del giornale russo Kommersant e confermato anche dagli americani. Non si è parlato di pace o di negoziati, ha fatto sapere la Cia, ma il capo dell’intelligence americana ha messo in guardia la Russia dall’utilizzo di armi nucleari. L’Ucraina era stata avvisata del viaggio e ancora una volta è emerso come per la diplomazia, ad assicurare che i canali tra Washington e Mosca rimangano aperti sia cruciale   la figura del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha ospitato l’incontro. 

 

Nel fine settimana la stampa americana ha continuato a raccontare di un tentativo da parte di Washington di portare  l’Ucraina a  negoziare un compromesso. Tra chi preme verso questa direzione ci sarebbe anche  il capo di stato maggiore Mark Milley e, secondo il Wall Street Journal, a preoccupare gli americani è il fatto che le scorte di armi iniziano a scarseggiare e né gli Stati Uniti né gli alleati europei possono rimanere scoperti. Il capo della Casa Bianca, Joe Biden,  ha però ripetuto il mantra della sua presidenza in guerra: niente sull’Ucraina senza l’Ucraina. Un modo per mettere in chiaro che chi deve dettare  le condizioni negoziali è  Kyiv. Zelensky a sua volta è stato chiaro, ha detto che l’Ucraina è pronta per la pace, ma deve essere una pace che valga per tutta l’Ucraina, quindi l’esercito russo deve ritirarsi da tutto il territorio. Non ammette altre condizioni, anche se è caduto il tabù di negoziare soltanto se al Cremlino non ci sarà più Vladimir Putin. Le prossime elezioni in Russia si terranno nel 2024, lo stesso anno voteranno anche gli americani, e una delle carte che potrebbe giocarsi la Casa Bianca è quella di convincere Mosca ad arrivare al voto senza un conflitto in fase di peggioramento, senza una guerra persa e dei cittadini affamati. A controllare il voto in Russia non ci sono più istituzioni internazionali, nessuno può garantirne la regolarità, ma trattare con Putin potrebbe essere più favorevole perché gli americani sanno già a cosa è veramente interessato: alla sua sopravvivenza. 

 

Il momento opportuno per sbloccare la situazione potrebbe essere il 2023 e il G20 di Bali potrebbe servire a  mettere in chiaro le cose. Putin ha posto a capo della delegazione Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri che al vertice dell’Asean prima e a Bali poi, sta cercando di non ritrovarsi mai nella stessa stanza con gli  americani. Lavrov  è  stato già al centro di un primo mistero: l’Associated Press aveva riferito di un suo ricovero per problemi di cuore appena atterrato a Bali. Poco dopo, la portavoce del ministero degli Esteri russo  ha pubblicato un video in cui Lavrov appare in calzoncini, con le palme sullo sfondo, a rileggere degli appunti e, inquadrato, dice di stare benissimo e invita i giornalisti occidentali a fare “un lavoro più accurato”. Non è sfuggito che Lavrov, probabilmente già dimesso dall’ospedale, era la raffigurazione di  una passione intensa per quell’occidente collettivo che Mosca vuole combattere. Al di là di iPhone e Apple Watch in bella vista – il ministro ha detto che si trattava di uno smartwatch Huawei – aveva addosso una maglietta del pittore americano Basquiat e l’aria da uomo di mondo, molto diversa da quella del suo presidente,  incomprensibile anche per i suoi stessi funzionari. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.