La gioia di Kherson, la bandiera europea. “Sapevamo che sareste arrivati”

Paola Peduzzi

Qui, sul fronte, dove ogni tentennamento sarebbe comprensibile, c'è la certezza: ci salverete, lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo. L'Economist: "Immaginate come sarà l'Ucraina che ha vinto la guerra nel 2030" e la poetica copertina "Sogni di pace"

Milano. La bandiera europea che sventola a Kherson assieme a quella ucraina non è soltanto la vittoria di un momento, ha tutta la potenza di una vittoria politica e culturale, oltre che militare. I video che hanno iniziato a circolare dagli ultimi territori liberati dalle forze di Kyiv fino all’ingresso a Kherson danno il senso della pena di questi ormai nove mesi di guerra e di come sono cambiati i cuori e le menti degli ucraini che qui erano genuinamente filorussi prima che Vladimir Putin decidesse di bombardarli, assediarli e affamarli. “Vi stavamo aspettando, sapevamo che sareste arrivati”, dicono gli abitanti di questo sud ucraino così strategico, e la loro granitica, gioiosa certezza è la risposta più forte e più coraggiosa a tutti quelli che dicono che a Putin e alla sua ferocia qualcosa andrà pure concesso per porre fine a questa guerra. “Sapevamo che sareste arrivati” è il complemento perfetto –  ancorché ferito e straziato dal buio, dal freddo, dalle minacce, dalle torture –  della bandiera europea nella piazza di Kherson, il senso concreto e umano di una direzione e di un’aspirazione. Qui ci scontriamo e ci arrovelliamo sull’opportunità e sul costo delle nostre scelte e delle nostre alleanze, dicendo anche cose scellerate, e lì, sul fronte,  dove ogni tentennamento sarebbe comprensibile, c’è la certezza: ci salverete, lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo.

 

A ogni liberazione segue l’orrore: è dai cadaveri di Bucha e Irpin (anche lì la foto di un piccolo portachiavi con la bandiera europea tra le dita di una persona uccisa e abbandonata nel fango aveva fatto il giro del mondo e delle nostre coscienze) che abbiamo imparato a conoscere la scia di morte e ferocia che i russi lasciano in ogni luogo ucraino in cui sono passati. Anche a Kherson e nelle altre città con tutta probabilità troveremo le storie dei morti e dei sopravvissuti, e avremo l’obbligo di non distogliere gli occhi, perché è dall’elaborazione di questi lutti e drammi che ripartirà, quando ripartirà, la possibilità di una futura, complicatissima convivenza tra popoli fratelli diventati nemici.  “Immaginate come sarà l’Ucraina che ha vinto la guerra nel 2030”, scrive l’Economist nell’articolo che accompagna una insolita copertina poetica e che s’intitola “Sogni di pace”.  L’Ucraina è democratica, si prepara a unirsi all’Unione europea, s’è quasi completamente ricostruita.

 

Ha un’economia che cresce, ha ricoltivato il suo antico melting pot, sa tenere a bada la corruzione, e soprattutto “la difesa contro un’altra invasione non dipende dalla volontà del Cremlino, ma dalla consapevolezza che una nuova aggressione russa non potrà più succedere”. E’ il “mai più” che ci siamo ripetuti smarriti per decenni e di nuovo dopo l’invasione di Putin, ma è un “mai più” che si è costruito seguendo quel che abbiamo visto e sentito a Kherson, la bandiera europea e la certezza che le forze ucraine sarebbero arrivate a liberare gli ucraini.

 

L’Economist non si ferma alla poesia, anzi si sporca le mani analizzando le condizioni per arrivare a una pace, ribadendo che sono discorsi che vanno fatti con l’Ucraina, caposaldo dell’approccio alla guerra e al negoziato dell’America e dell’Europa, ma anche provando a infilarsi dentro a ciò che significa trovare la pace, e saperla mantenere. Il magazine britannico non risparmia il suo realismo quando parla di soldi che servono alla ricostruzione, di arte diplomatica che serve per conciliare un possibile dialogo con Mosca e la rabbia imperitura degli ucraini devastati da Mosca, di garanzie di sicurezza, di armi di oggi e di armi che ci saranno domani, della volontà politica di restare alleati quando il tempo passa, i costi aumentano, l’attenzione svanisce. Ma l’Ucraina e l’occidente del 2030 sanno che i soldi spesi non sono beneficenza, sono un atto di autoconservazione, salvare la pace e quello che siamo. Lo sappiamo già ora, e come gli ucraini che abbracciano i soldati liberatori, lo abbiamo sempre saputo.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi