il nome del nemico

Putin cerca un nuovo lessico di guerra. Il conflitto non è più contro i nazisti, ma contro i terroristi

Micol Flammini

Cambiano le parole e anche le intezioni, non c'è più l'Ucraina da liberare, ma la Russia da proteggere. Cosa ha detto il presidente russo ad Astana

Ieri il presidente russo, Vladimir Putin, era ad Astana per la Conferenza sulle misure di interazione e rafforzamento della fiducia in Asia. Nei giorni scorsi ha incontrato diversi leader internazionali e non ha parlato di Ucraina fino alla conferenza stampa finale del vertice ospitato dal presidente kazako  Qasim Jomart Tokaev. L’attacco contro Kyiv ha messo in allarme i paesi dello spazio postsovietico, primo fra tutti il Kazakistan,   si sono raffreddate le alleanze che neppure il crollo dell’Urss aveva rotto, così  Putin ha voluto far finta che la guerra non ci fosse. In conferenza stampa però ha detto, rispondendo alle domande dei giornalisti, che non ha rimpianti, che prima o poi sarebbe dovuto succedere, che la mobilitazione è stata necessaria perché l’esercito non basta a proteggere la linea di contatto  e che tutto sta andando secondo i piani. Nel frattempo la Russia pensava a come evacuare i cittadini rimasti a Kherson, mentre la controffensiva ucraina avanza. Putin ha aggiunto che non ha problemi a parlare di negoziati, ma ha anche detto che è pronto a interrompere l’accordo per il trasporto del grano siglato a luglio, se gli ucraini dovessero approfittare del blocco dei porti per organizzare “attacchi terroristici”. Sostiene ci sia un collegamento tra i corridoi per il grano e l’attacco al ponte che collega la Crimea alla Russia, l’esplosivo potrebbe essere stato spedito via mare da Odessa. E’ una teoria del Cremlino o il modo di creare una scusa per sospendere il primo e unico risultato diplomatico dall’inizio del conflitto.

 

Negli ultimi giorni la Russia sta cambiando alcune parole chiave della guerra, e la parola “terrorismo” è entrata con insistenza nel vocabolario dell’“operazione speciale”. L’attacco al ponte viene definito “attentato” e dopo l’esplosione, Putin ha parlato alla nazione dicendo: “Non ci sono dubbi. Questo è un atto di terrorismo che mira a distruggere strutture civili importanti”.  Poi ha convocato il Consiglio di sicurezza e ha sottolineato che la “Russia può rispondere a questo crimine solo uccidendo direttamente i terroristi, come è consuetudine in altre parti del mondo”. Prima che ci fosse l’esplosione sul ponte, Mosca aveva già iniziato, lentamente, a rivedere le sue parole. Era stato l’omicidio di Daria Dugina, la figlia del propagandista Aleksandr Dugin, a far emergere la parola terrorismo: l’immagine di una macchina che esplode per le strade moscovite ha colpito molto la popolazione. Due settimane fa è stata l’intelligence americana a dire che dietro all’omicidio della Dugina c’era “una parte del governo ucraino”, Washington ha cercato di tirare la briglia, facendo capire che l’uccisione era il superamento di una linea rossa. L’esplosione del ponte ha ravvivato le accuse di terrorismo da parte della Russia, le ricostruzioni finora fanno pensare che l’esplosivo sia stato sistemato nel veicolo di un camionista probabilmente ignaro, Washington ha tirato di nuovo la briglia ammettendo ancora il coinvolgimento di Kyiv, e Mosca ha velocizzato le modifiche del suo lessico guerresco. 

 

La guerra del Cremlino era stata dichiarata contro il governo nazista di Kyiv, Putin aveva detto che la Russia sarebbe andata a denazificare l’Ucraina, i soldati ucraini erano stati identificati come nazisti. La propaganda in televisione descriveva l’“operazione militare speciale” come una lotta tra la Russia e il nazismo. Tutto è cambiato: gli ucraini che ieri erano “i nazisti” ora sono “i terroristi”. La missione di Mosca è contro il terrorismo, contro gli attentati ordinati dal governo di Kyiv. Sulla stampa russa iniziano a circolare voci su una possibile nuova etichetta da dare alla guerra che da “operazione militare speciale” passerebbe a essere identificata come “operazione antiterrorismo”. Con la lotta contro il terrorismo il Cremlino ha giustificato l’intervento in Siria e soprattutto la guerra contro la Cecenia: i ceceni erano i terroristi da sconfiggere e Putin promise che avrebbe usato ogni mezzo pur di vincere. Il nazismo serviva a dare all’invasione in Ucraina quella dimensione epica e storica che il presidente, che si è paragonato a Pietro il Grande, cerca. Serviva a suggerire il senso di una battaglia contro il male, contro un nemico storico. Il terrorismo entra invece nella vita delle persone, mina l’idea di sicurezza e può fare più presa sulla popolazione russa. 

 

Questa settimana Russia e Bielorussia hanno annunciato che schiereranno un gruppo congiunto di truppe al confine con l’Ucraina. Il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka – era anche lui ad Astana e durante un discorso ha detto, esultante, che questo è il secolo dell’Asia, lasciando intendere che non consideri la Bielorussia parte dell’Europa –  ha accusato Kyiv di pianificare attacchi terroristici sul territorio di Minsk. La Bielorussia obbedisce alla linea di Mosca  e il dittatore ha detto che sono state attuate misure antiterrorismo “a causa dell’aggravarsi della situazione ai confini”. Nel gruppo congiunto, Lukashenka prevede di schierare settantamila soldati bielorussi, da disporre non soltanto sul confine con l’Ucraina ma anche con i paesi europei. Il giornale bielorusso Nasha Niva ha parlato dell’inizio di “una mobilitazione segreta”, il dittatore ha fatto spesso annunci che miravano soltanto a mostrare la sua fedeltà al Cremlino, ma se si riaprisse il fronte settentrionale, la controffensiva ucraina sarebbe costretta a riorganizzarsi. 

 

Ieri ad Astana, Putin appariva molto e inusitatamente allegro, ha detto due cose importanti: la prima che la mobilitazione si concluderà in due settimane e poi ha aggiunto che il compito dell’esercito russo ora è stabilizzare la linea di contatto. I piani del Cremlino sembrano cambiare di settimana in settimana e la priorità, dopo Astana – dove  i leader dell’Asia centrale sono stati freddi e gli hanno chiesto di non usare l’aggettivo “ex sovietico” riferito ai loro stati –  non è più liberare l’Ucraina dai nazisti. Ma proteggere la Russia dai terroristi. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.