Storia e appartenenza

L'Ucraina ci mostra che “il nazionalismo liberale” esiste e può vincere 

Paola Peduzzi

Questa guerra non è soltanto “un evento militare, ma è un evento intellettuale”, argomenta lo scrittore David Brooks. Perché gli ucraini non stanno recuperando terreno soltanto con la superiorità delle loro truppe, ma combattendo “in nome di un’idea superiore”

“La tenacia dell’Ucraina dimostra quanto possa essere potente il nazionalismo liberale di fronte a una minaccia autoritaria, dimostra come il nazionalismo liberale possa mobilitare una società e ispirarla a fantastici risultati”, scrive David Brooks nel suo ultimo commento sul New York Times. Brooks, scrittore liberale, introduce il concetto di “nazionalismo liberale” per spiegare che la guerra in Ucraina non è soltanto “un evento militare, ma è un evento intellettuale” perché gli ucraini non stanno vincendo soltanto dimostrando una superiorità delle loro truppe, ma combattendo “in nome di un’idea superiore” che è in realtà la somma di due idee: il liberalismo, “che promuove la democrazia, la dignità individuale, un ordine internazionale basato sulle regole”, e il nazionalismo, “Volodymyr Zelensky è un nazionalista, non combatte soltanto per la democrazia, ma anche per l’Ucraina – la cultura ucraina, la terra ucraina, il popolo e la lingua ucraina. Il simbolo di questa guerra è la bandiera ucraina, un simbolo nazionalista”. 

 

Siamo abituati a trattare queste due idee come contrapposte: i liberali contro i nazionalisti. Il fatto che possano invece andare a braccetto è un altro dei contributi che il popolo ucraino sta dando al riallineamento ideologico e culturale in corso dall’inizio della guerra di Vladimir Putin. Brooks spiega che il nazionalismo ha preso un’accezione negativa non a torto – “ha le mani sporche di sangue” – ma che esistono due tipi di nazionalismo: “Quello illiberale di Vladimir Putin e Donald Trump e quello liberale di Zelensky. Il primo nazionalismo è retrogrado, xenofobo e autoritario. Il secondo nazionalismo è lungimirante, inclusivo e costruisce una società attorno allo stato di diritto, non al potere personale del leader”. E il liberalismo non può più fare a meno del nazionalismo, perché nella sua versione inclusiva il nazionalismo garantisce appartenenza, storia, identità, possibilità di rigenerarsi.

 

Quanto all’appartenenza: “I paesi sono tenuti insieme dall’amore condiviso per un particolare stile di vita, una particolare cultura, una particolare terra”, e questo è un sentimento che va coltivato e al quale va dato un significato. “La libertà è vuota al di fuori di un sistema di significato”, scrive Yael Tamir in “Why Nationalism”, e il sentirsi parte di una nazione rende gli individui ingranaggi “di una storia eterna”. Oltre che un gruppo in grado di difendersi: “Le democrazie hanno bisogno di questo tipo di nazionalismo anche per rimanere unite”, scrive Brooks. C’è poi la possibilità di poter superare il passatismo legato al nazionalismo (illiberale, possiamo dire a questo punto) e al contrario “tornare continuamente indietro, reinterpretare il passato, modernizzare la storia e reinventare le proprie comunità”: è in questo senso che Brooks declina il potenziale di rigenerazione insito nel nazionalismo liberale. 

 

L’intellettuale americano spiega poi come il nazionalismo in America invece si stia sempre più esprimendo nei suoi toni illiberali, ed è agli americani che parla quando prospetta la tenacia ucraina e il nazionalismo liberale di Zelensky come una lezione importante da trarre, “il trionfo di un’idea”. Brooks non si inoltra nelle sfumature del nazionalismo ucraino, non è questo lo scopo della sua analisi, ma tali sfumature non sono e non saranno secondarie in questa seconda fase della guerra, quella in cui l’Ucraina sta vincendo. Il coraggio e l’orgoglio ucraino sono andati di pari passo con l’odio nei confronti dei russi.

Qualche tempo fa, in uno splendido articolo sull’Atlantic, la direttrice della New Voice of Ukraine, Veronika Melkozerova, aveva scritto: “Negli ultimi mesi, da quando le forze russe hanno lanciato la loro ultima invasione dell’Ucraina, abbiamo cercato di rimanere umani, di essere migliori del nostro nemico”, ma “non possiamo rimanere la vittima perfetta: liberale, indulgente, gentile. In segreto, desideriamo la vendetta. Be’, forse ora non più così segretamente”. Sono arrabbiata e piena d’odio, scriveva la Melkozerova, “perché la Russia, che ci ha aggrediti, potrebbe farla franca, perché i miei amici, i miei cari e io siamo costantemente in pericolo. Ma non ho modo di sfogare questi miei sentimenti, e così la mia rabbia e il mio odio aumentano”. Non è fiera del suo risentimento, tutt’altro, sa che è un’ipoteca sul futuro, ma non riesce a contenerlo, pensa che non sia possibile contenerlo. Noi facciamo conti militari e cartografici, pontifichiamo sui termini di una pace, ma in gioco c’è soprattutto la pacificazione, che si nutre del nazionalismo liberale e non dell’odio.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi