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inside Astana

Il bluff kazako: Tokaev promette riforme e democrazia

Davide Cancarini

Sul sito di Politico è stato pubblicato un articolo in cui il presidente del Kazakistan spiega le riforme liberali che ha in serbo per il paese. Una mossa propagandistica, di cui dubitare soprattutto perché il modello del paese centroasiatico non è più Mosca ma Pechino

Per gli osservatori della regione asiatica, la giornata si è aperta con una novità alquanto insolita. Sul sito di Politico, non certo una velina di regime, è infatti apparso un articolo firmato dal presidente kazaco, Kassym-Jomart Tokayev. Che evidentemente non si è stancato dei riflettori internazionali accesi su di lui la scorsa settimana, durante la concomitante visita di Papa Francesco e Xi Jinping in Kazakistan, ma, anzi, vuole cavalcare l’onda. Lo stupore è stato anche maggiore scorrendo l’articolo, in cui Tokaev descrive con grande enfasi le politiche liberali che starebbe portando avanti nel paese, le stesse “che hanno favorito un aumento così significativo degli standard di vita in tutto il mondo”. 

La mossa propagandistica di Tokaev può essere letta in diversi modi. Sicuramente pesa la sua partecipazione all’Assemblea generale dell’Onu, che si tiene in presenza per la prima volta da tre anni, e la volontà di mostrarsi a livello internazionale come un riformatore. Proprio in tal senso, il leader kazaco ha effettivamente iniziato un processo di riforma del regime che guida dal 2019 e che ha ereditato dall’uomo che ha forgiato i primi trent’anni di vita nazionale, Nursultan Nazarbayev. Il mandato presidenziale, ad esempio, è stato appena portato da cinque a sette anni e reso unico, senza possibilità di ricandidature. Tokaev ha contemporaneamente annunciato elezioni anticipate per il prossimo autunno, un modo per ottenere un mandato forte, probabilmente in vista di più incisive riforme. Anche perché queste ultime andrebbero a toccare sistemi clientelari consolidati, creando sicuramente tensioni più o meno sotterranee. 

A pesare sulla sua scelta di anticipare le urne pesa però anche il contesto internazionale. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dato modo a Tokaev di ergersi a difesa del principio di integrità territoriale e a campione dell’affrancamento da Mosca; allo stesso tempo, il prezzo del petrolio particolarmente alto sta consentendo al Kazakistan di rinviare il contraccolpo economico, che prima o poi si farà sentire, del difficile contesto internazionale. A differenza di quanto fatto varie volte negli ultimi mesi, al momento la Russia non sembra  aver intenzione di bloccare l’oleodotto che trasporta il petrolio estratto dai giacimenti dell’area occidentale del Kazakistan fino al porto russo di Novorossiysk, sul Mar Nero, e da cui fluisce l’80 per cento delle esportazioni di greggio kazache. Le revenue energetiche continuano perciò anch’esse a fluire nelle casse del regime, ma nuove interruzioni future non sono da escludere. Il momento dev’essere quindi sembrato adatto a Tokaev per rinsaldare la presa su Astana, capitale recentemente tornata alla prima denominazione dopo essere stata chiamata per tre anni Nur-Sultan, dopo le turbolenze che hanno caratterizzato l’inizio del 2022 sul fronte sociale e politico in Kazakistan. 

Difficile prevedere quale strada effettivamente il paese prenderà nel medio periodo ma un indizio potrebbe venire dalla già citata visita del leader cinese in Kazakistan, avvenuta la scorsa settimana prima del summit della Sco in Uzbekistan. Dallo stesso palcoscenico da cui nel 2013 aveva lanciato la Via della Seta, Xi Jinping ha ribadito l’impegno cinese di supportare il governo di Tokaev nella difesa dell’indipendenza, sovranità e integrità territoriale kazaca. Un chiaro monito rivolto alla Russia e un modo per il presidente della Repubblica popolare per affermarsi anche politicamente in Asia centrale.

Da “semplice” partner economico privilegiato, infatti, la Cina potrebbe ambire a diventare anche un modello politico per le repubbliche regionali, soprattutto Uzbekistan e Kazakistan. D’altronde già adesso entrambe, quest’ultima in particolar modo, sono fautrici di un sistema fatto di modernizzazione e liberalizzazione economica accompagnate a un sistema politico autoritario. Qualora Tokaev, che ha profondi legami con la Cina e parla fluentemente il cinese, trovasse in Pechino un nuovo padrino politico, le probabilità di una sua vera svolta in senso liberale calerebbero drasticamente. Lo stesso dicasi, anche se in quel contesto la retorica riformatrice si è finora praticamente sempre fermata alla sfera economica, per la realtà uzbeca. Schiacciate tra Russia e Cina e influenzate dai mutevoli rapporti di potere tra di esse, le repubbliche dell’Asia centrale stanno attraversando a loro volta una fase di grande cambiamento. Se in senso democratico o meno è ancora tutto da vedere. 

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