la via kazaka

La rottura del Kazakistan con la Russia è sempre più netta

Micol Flammini

Tokaev, il russofilo pentito, cerca di fare affari senza Mosca e si prepara alla vendetta di Putin

Qasym-Jomart Tokaev è il presidente del Kazakistan che a gennaio di quest’anno aveva chiesto alla Csto, un’alleanza militare che gravita attorno alla Russia, di intervenire nel suo paese per sedare le proteste, nate per questioni economiche che iniziavano a presentare rivendicazioni anche politiche. Arrivarono i soldati di Mosca accompagnati anche da alcune truppe bielorusse e fu una carneficina, i manifestanti, spesso pacifici, morirono a decine. L’ordine, disse Tokaev, venne ristabilito in fretta e le truppe di Mosca iniziarono a lasciarono il Kazakistan con tanti, sentiti ringraziamenti da parte di Tokaev a Vladimir Putin. In molti espressero meraviglia per il ritiro dei soldati da parte del Cremlino: quando la Russia manda i suoi uomini, spesso fa in modo che  rimangano. Questa volta però aveva in programma di impiegarli altrove: quasi due mesi dopo la Russia avrebbe lanciato l’aggressione contro l’Ucraina e  il presidente kazako ha iniziato a ricordare con spavento l’arrivo delle truppe di Mosca, che lui stesso aveva invitato.

 

La scorsa settimana Tokaev è andato a Baku, in Azerbaigian, e ha incontrato il presidente Ilham Aliyev. I due leader parlano molto bene il russo, una lingua che usano abitualmente come se fosse la loro lingua madre, ma per la prima volta hanno preferito usare l’azero e il kazako, mandando un segnale molto forte di rottura al Cremlino, che nella regione è un rivale di Baku difende infatti gli interessi dell’Armenia. Tokaev e Aliyev hanno parlato di molte cose, hanno firmato circa trenta documenti, ma soprattutto, attraverso l’Azerbaigian, Tokaev potrà vendere parte del suo petrolio all’Europa a partire da settembre per aggirare le minacce di Mosca che vuole chiudere la rotta che parte dai giacimenti petroliferi del Kazakistan che rappresentano circa l’1 per cento delle forniture mondiali. 

 

A inizio giugno, Tokaev era stato invitato in Russia a partecipare a una conferenza assieme a Putin al summit economico di San Pietroburgo, un evento a cui il capo del Cremlino tiene molto. Il presidente russo ha cercato di strappare il sostegno di Toakaev che invece sul palco, a favore di telecamere, ha definito Luhansk e Donetsk delle “quasi repubbliche”, ha detto che il Kazakistan non può riconoscerle e che lo stesso principio vale anche per la penisola di Crimea. Putin si è sforzato per rimanere impassibile e si è vendicato rivolgendosi a Tokaev utilizzando il patronimico sbagliato: “Kasimzhan Kemelevich”. Il presidente kazako ha anche rifiutato il conferimento dell’onorificenza di Aleksandr Nevskij, molto prestigiosa, giustificandosi con la decisione da lui presa di non accettare premi  o titoli finché rimarrà presidente del suo paese. Tokaev è tornato in Kazakistan convinto che prima o poi Putin cercherà di fargli pagare l’affronto, ma che era necessario per proteggere il suo paese in cui ha aumentato anche il budget per la difesa e reso più stringente la leva obbligatoria. Tokaev teme che il prossimo obiettivo della Russia possa essere proprio il suo paese che, come molti altri paesi che temono un’aggressione da parte di Mosca, ospita una nutrita minoranza di cittadini di origine russa. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.