Pool Photo via AP

Dopo i funerali di Elisabetta II, il Regno Unito torna ai suoi guai

Michele Masneri

Il destino delle rose cellophanate, le uova perdute e il tormento del “costo di menù”. Con il grande rito del lutto la Corona ha potuto ribadire: tutto questo non si inflaziona. L'ultimo saluto alla regina voluto dal re giardiniere contro l’inflazione monarchica

Londra, dal nostro inviato. Questa è una storia di inflazione. E cos’è mai l’inflazione se non il rischio di una cosa grande che diventa sempre più piccola, il rischio che le cose in nostro possesso perdano di valore? 

 

Mentre questa mattina, lunedì 19 settembre, a Londra si preparava l’ultimo atto della defatigante macchina funebre per salutare Elisabetta II, dopo dieci giorni di negazione della realtà garantita da questo spettacolo, andava in scena una Gran Bretagna che non vorrebbe uscire mai da questa celebrazione, perché per il resto le cose non vanno molto bene. Da martedì la prima ministra Liz Truss lancerà una serie di misure atte a rilanciare l’economia, ma oggi Londra sembrava quella dei tempi pre Thatcher. L’aeroporto di Heathrow aveva annunciato che avrebbe sospeso molti voli durante il funerale “per rispetto alla sovrana” ma non era necessario, arrivare all’aeroporto era impossibile perché un guasto sulle linee elettriche  bloccava interi tratti della metropolitana. Gli scioperi programmati per questi giorni erano stati sospesi per la celebrazione della sovrana. Intanto l’inflazione terrorizza tutti, perfino il nuovo re, Carlo III, che ha appena ereditato miliardi e castelli, ma ha annunciato che la perdita di potere d’acquisto dei sudditi lo preoccupa. Il primo ministro Liz Truss, secondo ministro donna dai tempi della Thatcher, ultima ad aver formato un governo “in my name” della sovrana, annuncerà l’eliminazione di ogni tetto agli stipendi dei banchieri, un segnale preciso per lasciare liberi gli spiriti animali della City, una delle poche cose rimaste alla Gran Bretagna dall’identità pericolante. 

 

Dunque da martedì si torna alla vita reale, nella speranza che il nuovo re con le sue bizze e i suoi capricci sia in grado di tenere in piedi almeno per un decimo il carrozzone reale che tra i tanti meriti e difetti distraeva almeno dalla realtà.  Ma lunedì, la mattina, nel quartiere di Chelsea, silenzio, nessuna macchina per strada, negozi e banche e farmacie sbarrate, per onorare la sovrana.

   

 Pool Photo via AP
          

Solo fiori, in giro, ai monumenti, fiori della polizia “per dirti che sei stata ascoltata, stimata, amata”, un biglietto di un poliziotto. Il fioraio, The flower stand Chelsea, espone una magnifica corona di rose bianche. Man mano che cammino e vado verso Kensington i pub aprono, la gente si raduna per vedere in tv il funerale del secolo. Ecco la bara, con sopra i segni del comando, lo scettro il globo, e fiori (l’erica scozzese, il rosmarino che simboleggia il ricordo e la quercia inglese che simboleggia la forza dell’amore. Il mirto è stato tagliato da una pianta cresciuta da un rametto di mirto nel bouquet da sposa della regina. Tutto è stato scelto sotto la supervisione di Carlo, re giardiniere, in un’altra delle sue strane cose in comune col suo popolo). 

  

Intanto, mentre passo da Hyde Park, sale un odore abbastanza nauseante, dalla immensa distesa di mazzi che son lì da giorni, da quando l’8 settembre scorso, pare un’eternità, qualcuno ha cominciato a deporne.  Mentre i portatori di fiori continuano ad arrivare. Ci sono in maggioranza fiori da supermercato, quelli turgidi di frigorifero, bouquet da 9 pound e 90 di Tesco o Sainsbury, ma anche quelli presi al Chelsea Flower Market arrotolati nella carta grezza. Qualcuno si è chiesto se i soldi spesi dai contribuenti per questi omaggi floreali avrebbero potuto essere usati meglio, qualcuno si chiede come verranno smaltiti questi milioni di mazzi coi loro involucri di cellophane, alcuni raccontano barzellette. “Cos’è una rosa per un’inglese?”, chiede un burlone. “Un bellissimo omaggio. Cos’è una rosa per una donna scozzese? Il risparmio di altre undici”. Ed Elton John avrebbe ben donde a cantare “Goodbye England Rose”, perché il mercato delle rose è esploso, in piena bolla, si son chiamati a raccolta fioristi irlandesi e turchi in questo boom floreale. Oltretutto i fiori sono difficili da trovare ultimamente a causa del Covid che ha bloccato la catena dell’approvvigionamento anche in questo settore. L’industria mondiale dei fiori vale 15 miliardi di euro l’anno ed è stata fortemente danneggiata dal Covid, quando nessuno comprava certamente mazzi per innamorati e innamorate. Una crisi che ha effetti globali: in Kenya durante il Covid  l’export di fiori era crollato dell’85 per cento, e sono stati persi 2 milioni di posti di lavoro. Dalla Turchia sono arrivati in Inghilterra 500 mila mazzi, pari a 13 tonnellate cubiche, per il funerale.

 

La morte e il funerale di Elisabetta hanno dato una mano anche in questo. Il nuovo e discusso presidente del Kenya, William Ruto, è arrivato a Londra alla sua prima uscita ufficiale, e lunedì sembrava guardare con soddisfazione allo spiegamento di mazzi e di petali al passaggio del feretro. A lui e ai rappresentati del Commonwealth, a questo funerale storico, è stato riservato del resto un trattamento di favore. Mentre capi di stato occidentali son stati tirati giù dal letto all’alba, loro arrivano con calma a metà mattina. Le loro uniformi bizzarre sfolgorano nella luce della Abbazia. Ma il Commonwealth è anche questo: garantire agli abbonati un posto in prima fila, come a un club molto esclusivo, una Soho House. E quando gli ricapita a William Ruto di parlare coi re di Spagna e con Macron, alzandosi oltretutto più tardi? Ditelo con i fiori.

  

I fiori improvvisamente sono tornati di moda, tutti li vogliono, tutti ne vogliono offrire, in Gran Bretagna. Forse ripetendo inconsciamente il gesto di quella bambina che nel momento più buio di Elisabetta, quando stava per perdere tutto alla morte di Diana non accettando che la nuora bislacca fosse immediatamente diventata un santino da onorare, dopo giorni di inattività si spinse infine con Filippo davanti alle cancellate reali, e una bambina mandata dal cielo le porse un fiore. “Vuoi che lo deponga per te alla memoria di Diana?”, chiese la sovrana stravolta. “No, è per te”, rispose la bambina, e non si sa se sia veramente andata così o sia l’ennesimo spin di cerimonieri e courtiers, ma questa frase e questo gesto floreale hanno risollevato e salvato Elisabetta e la monarchia. Gesto che in questi giorni è stato ripetuto, si diceva, in varie salse: Kate applauditissima ha deposto i suoi fiori per la sovrana, e Camilla pure, ma l’apice si è avuto con “li voglio tenere io”, ha detto Meghan, la duchessa californiana, in questo ritorno ansiogeno, quando una bambina, l’ennesima bambina porgitrice di fiori, glieli ha dati, e un valletto cortesemente ha fatto per tenerglieli e lei forse con mossa studiatissima ha detto che avrebbe portato lei quel peso. Ma pure oggi, arrivato a Cromwell Road, appena passata la processione definitiva che porta la regina a Windsor, tra i petali di fiori e i bouquet, uno dei poliziotti riceve una rosa, una sola, da una ragazza. Nel cellophane, ma va bene lo stesso. 

 

“Le uova sono finite”, dice poco più in là la cameriera di Zack’s, ristorantino specializzato in prime colazioni. Vorrei farla anch’io, colazione. E saranno le folle che aspettano il corteo, mentre la strada è transennata da decine di poliziotti e si attende la processione che porterà Elisabetta finalmente in pace a Windsor nella cappella che ospita suo padre e sua madre e suo marito e la sfortunata Margaret, o proprio non ci sono più uova in Gran Bretagna? “Sono sempre più difficili da trovare”. La prima colazione, gli scrambled eggs, sono a rischio, un altro pezzo dell’identità britannica che traballa.  Nessuno infatti vuole più allevare galline da uova, qui, perché non si trova più frumento da dargli da mangiare a causa della guerra in Ucraina, mentre Kate troneggia in quella che è forse la foto più cool di questo weekend funeralizio e diplomatico, con Olga Zelenska la moglie glamour del soldato Zelensky, il prezzo del mangime è raddoppiato e gli allevatori non riescono a coprire i costi, dice la British Free Range Egg Producers Association (Bfrepa). Lontani sono i tempi in cui si poteva fotografare Deborah Vivien Freeman-Mitford Cavendish, la duchessa del Devonshire, nonché una delle formidabili sorelle Mitford, dar da mangiare in tiara di diamanti e scettro alle sue galline. Lunedì i duchi non allevano più ma cercano tutti di tenere in piedi i castelli con l’intrattenimento.

 

In questi giorni: quello di Richmond che, cappello a larga tesa in testa, due giorni fa ha fatto fermare il raduno di auto di Goodwood per una solenne commemorazione con spari di vero cannone (Goodwood è uno dei casi più di scuola di riconversione di tenuta inglese in azienda profittevole, circuito per auto d’epoca più famoso del mondo), segue intervista a Jackie Stewart anzi sir Jackie Stewart su come la regina  guidasse bene (a Balmoral, scorrazzava in giro tutti soprattutto maschi a cui far vedere come guida una vera donna – “non lo dico perché era la regina, ma davvero bravissima, anche dei tecnicismi, punta-tacco, mai fuorigiri…”). Poi il conte di Carnarvon, possessore di Highclere Castle già dilapidata e ora meta di fondamentali turismi dopo che è diventata nella finzione tv Downton Abbey, e nipote di quel lord Carnarvon che scoprì Tutankhamon, da cui le maledizioni (tra cui la villa Altachiara a Portofino da cui ruzzolò la Vacca Agusta). Insomma lui, l’ottavo conte, confessa stranito che era tutta una balla la love story di sua padre, il settimo conte, capo delle scuderie di Sua Maestà, con Sua Maestà, e certo il conte-padre aveva una diramazione diretta al centralino di Buckingham Palace, ma no, era solo una grande affettuosa amicizia; e non è vero nemmeno che quando la Regina commemorò il duca, era lo stesso giorno dell’11 settembre delle Torri Gemelle, disse la famosa frase che “il dolore è il prezzo che si paga per l’amore”, e in tanti trovarono stranamente enfatiche quelle parole (e “The Crown” il conte non l’ha mai visto, e lo detesta).  Il duca di Norfolk invece più semplicemente ha organizzato tutto il funerale, come atavicamente spetta alla sua famiglia, fin dalla notte dei tempi. Anche questo è entertainment.

 

Uno dei problemi dell’inflazione è detto “costo di menu”, perché quando l’aumento generalizzato dei prezzi raggiunge una certa soglia bar e ristoranti devono cambiare in continuazione, appunto, i menu. Ma anche la morte di Elisabetta e l’arrivo di Carlo hanno un costo di menu. Dovranno infatti cambiare nome una serie infinita di cose. Non solo banconote e monete e insegne degli uffici postali. Si salvano le navi che HM va bene uguale, His o Her Majesty che sia. E se i più illustri avvocati appartenenti al Queen’s Counsel sono stati immediatamente trasferiti al King’s Counsel, sarà tutto un lavorìo di fabbri reali, con ricadute di pil. Carte intestate e sigilli e targhe. La morte della sovrana ha immediatamente messo in pausa  anche le circa 800 aziende che possono issare il “Royal Warrant”, cioè la dicitura “by appointment” con uno degli stemmi reali. Così vuole il protocollo, e marchi come Waitrose, Fortnum & Mason, Cadbury e Heinz adesso dovranno attendere che il nuovo re confermi o cancelli il fruttuoso accordo che prevede laute forniture in cambio dello stemma. Casa Reale infatti è da sempre una grande vetrina per pubblicizzare qualunque cosa. E del resto il funerale di stato è stato anche l’ennesimo show per l’automobile britannica. Kate e i bambini in Bentley, dietro ha fatto il suo esordio assoluto in un corteo windsoriano un suv Rolls Royce, alla faccia del carovita; e naturalmente carro funebre Jaguar (dopo l’incredibile gaffe del primo, Mercedes, sembra un anno fa, con la sovrana appena morta a Balmoral). Forse lo spiritello tedesco che riaffiora, del resto i Windsor sono tedeschi, tedeschissimi (quando cambiarono nome nel 17,  il cugino tedesco della regina con cui la Gran Bretagna era in guerra, il Kaiser Guglielmo, con spirito, disse che sarebbe andato a teatro a vedere “Le allegre comari di Saxe-Coburgh-Gotha”). Ma Bentley, Jaguar e Rolls Royce e Range Rover son tutti marchi che non sono più britannici da tempo, sono cinesi o indiani, ma va bene così. By appointment.  

 

Il contrario del significato di  “inflazionato” è “unico”, e col funerale di oggi la monarchia forse ha celebrato per sempre il suo trapasso, o forse invece – più probabile – ha voluto far vedere ancora una volta cosa sa fare, col senso della cerimonia e dell’unità e un sistema che con l’organizzazione maniacale riesce a gestire l’emozione e il dolore. Tutto questo non può essere inflazionato, tutto questo va bene per tutti, andrà bene anche tra trent’anni quando magari ci sarà una nuova regina femmina. “Cerchiamo di fare il possibile, ci tiriamo a lucido e offriamo il miglior intrattenimento possibile”, così sintetizzò il suo ruolo  col famoso buon senso la regina Elisabetta parlando di sé stessa e della ditta col leggendario understatement mentre organizzava l’ennesimo banchetto di stato a Windsor nel famoso documentario del 1992, l’anno in cui successe qualunque cosa, i divorzi di tutti i figli, e l’incendio di Windsor, e lei disse la  frase sul suo “annus horribilis”; era anche l’anno in cui la Gran Bretagna in uno dei tanti momenti di crac economico fu costretta a uscire dal Sistema monetario europeo, ma di questo nessuno si ricorda, e questo forse è il senso di tutto. 

 

Adesso la cerimonia è finita, su Cromwell road passa il feretro, si annuncia con un applauso che arriva da lontano, come un rombo, e tutti cominciano a correre, la fiorista, la cameriera di Zack’s, i turisti, e appena si vede in lontananza il carro funebre con la bara coi leoni di Inghilterra, quelli di Scozia e l’arpa di Irlanda, il corteo comincia ad applaudire, applaudiamo tutti, e non ci si ricorda di niente, dell’inflazione, della colazione, e forse, per un istante, è questo il senso di tutto, mentre piovono i fiori.

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).