La regina Elisabetta II durante un discorso a Portsmouth nel 2019

Elisabetta II ha incarnato l'Old lady inglese e poi l'ha resa fluo

Cristina Marconi

La regina non ha mai smesso di incantare. Ha saputo parlare al cuore di un popolo che adora tutto quello che è britannico per la capacità di conservare il passato guardando al futuro

Per secoli l’Inghilterra ha avuto il volto di una donna anziana, anche grazie a tre regine venerate, invecchiate sul trono e senza accanto una figura maschile dominante. Una vergine, una vedova e la moglie di uno che non era re: Elisabetta I, morta a quasi 70 anni; Vittoria, imperatrice fino a quasi 82 ed Elisabetta II, che ha sfiorato l’eternità con i suoi 96 anni e che della English Old Lady è stata l’incarnazione più perfetta e cool, accompagnandoci per mano per mezzo Novecento e aspettando che ci ambientassimo per bene anche nel nuovo millennio prima di lasciarci.

 

Forte di un’iconografia molto consolidata, però: da Agatha Christie alla sua Miss Marple, dalle esploratrici intrepide alle viaggiatrici dei romanzi di EM Forster fino alla versione più pop, ossia l’irresistibile Lady Violet di “Downton Abbey”, l’anziana inglese non ha mai smesso di incantare grazie a una serie di doti che l’hanno resa e la rendono unica e inimitabile, ossia l’indipendenza di giudizio, la rettitudine venata di ironia, l’eccentricità e quella libertà sociale che solo l’età può regalare. 

  

Dopo il periodo decisamente opaco degli anni Novanta e la vertiginosa settimana della morte di Diana nel 1997, il lungo regno di Elisabetta II recuperò slancio e vigore quando, la sovrana si presentò davanti alle telecamere per parlare al paese “da regina e da nonna”. Fu il momento della svolta, quello in cui riconquistò il “common touch” che le era mancato negli anni della maturità: sulla monarchia claudicante incise l’incalzante comunicazione della Downing Street più dinamica della storia ed Elisabetta, nel giro di poco, si trasformò da donna di mezza età dallo stile polveroso in un’icona pop, addolcita dai capelli finalmente bianchi e da un abbigliamento più colorato e somigliante a quello della regina madre, la Old Lady per eccellenza, che con l’aria trasognata e dolce non a caso era stata definita da Hitler “la donna più pericolosa d’Europa”.

 

Elizabeth Bowes-Lyon, con l’eterna veletta e sempre insieme alle figlie – sembravano tre cocorite, illuminate dall’evidente felicità di essere insieme – Queen Mother proiettava l’immagine benevola e zuccherina di una capace di dire una parola rassicurante e di dare un piatto di zuppa ai bisognosi, anche se in realtà le biografie parlano di una donna dura e classista, spietata con le figlie e con i parenti. “Diversamente da altri personaggi pubblici, non invecchia”, essendo lei già anziana, scriveva Ben Pimlott, storico e autore della biografia più intellettuale di Elisabetta II, attenta al suo impatto sull’immaginario collettivo. Il talento della regina madre, poi ripreso dalla figlia sovrana, “è stato cercare il meglio nelle persone e porgere loro una specie di specchio per le virtù che vorrebbero avere”. 

 

Insomma, la Old Lady, che sia regina o meno, ha la capacità di far sentire le persone migliori, è una presenza edificante, a torto o a ragione. Il perfetto personaggio intorno al quale far girare leggende benevole e colorite, con un gin&tonic mai troppo lontano. E se l’immagine del gentleman o della English Rose, la fanciulla in fiore, sono state tanto celebrate, è la Old Lady, soprattutto dopo questi settant’anni di Elisabetta, che sa parlare al cuore di un popolo e di un mondo che adora tutto quello che è britannico perché riconosce un modo speciale di conservare il passato guardando al futuro senza farsi spaventare. Una missione da Old Lady, saggia vestale di tutto quello che non vogliamo che sparisca. 

 

Il popolo inglese è fiero delle sue icone, diventate con la fine dell’impero uno strumento di soft power e un prodotto da esportazione in grado di perpetuare il mito del Made in Britain. Maggie Smith, Judy Dench, Helen Mirren, Vanessa Redgrave, sono solo alcune delle soldatesse dell’esercito di attrici richiestissime per interpretare sublimi anziane nei film di tutto il mondo. Cresciute sui palcoscenici, sono diventate famose da giovani, ma superata una certa età sono diventate ancora più richieste e la loro fama ha raggiunto livelli planetari.

 

Dench era un’acclamata attrice di teatro quando nel 1993 esordì nel film Mrs Brown, diventando famosa in tutto il mondo come imperatrice Vittoria e finendo col vincere poco dopo un Oscar per la sua interpretazione di Elisabetta I in Shakespeare in Love, del 1998. Nel film, appare per soli 8 minuti. Glenda Jackson, rimasta più giovane nell’aspetto, ha rafforzato la sua immagine di donna indomita interpretando il ruolo di King Lear. Attrici diventate famose incarnando regine e gentildonne, una donna di potere come la M di James Bond o una signora arruffata come quella che aveva parcheggiato il suo furgoncino giallo nel vialetto di casa di Alan Bennett, rubano letteralmente la scena, e non solo perché sono bravissime, ma anche per l’archetipo a cui si rifanno, per la libertà che riescono a incarnare. Irradiano forza, in loro la vecchiaia si fa augusta, saggia, sommamente ironica.

 

E ancora una volta: molto libera. Natalia Ginzburg, in “Elogio e compianto dell’Inghilterra”, non è tenera verso il paese, ma fa un’eccezione. “Gli inglesi mancano di fantasia: pure mostrano fantasia e colore in due cose, due sole. I vestiti da sera delle vecchie signore, e i caffè”. D’altra parte, per dirla con un’altra grande penna come quella di Camilla Cederna, Elisabetta non era esattamente vestita, ma più “arredata in puro stile inglese, fatto di colori adatti alle guance rosee di casa sua, d’uno charme vieux jeu che è sempre stato quello, vagamente malinconico, delle inglesi erranti di Bellagio o di Fiesole”.

 

Che si vestano o che si arredino, le anziane inglesi lo fanno con una libertà assoluta, secondo Ginzburg: “Le vecchie signore portano, per la sera, i vestiti più strani. E si tingono il viso di rosa e di giallo, senza risparmio. Si trasformano, da quieti passerotti, in pavoni e fagiani lussureggianti”. Così ha fatto Elisabetta, che diventava più fluorescente con il passare degli anni, libera nel suo conoscere codice del mondo, nel suo essere diventata con gli anni, libera e padrona di sé, anzi: sovrana di sé.

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