Ugo Panella per Fondazione Pangea Onlus 

negoziato continuo

La sfida impossibile delle ong in Afghanistan: barattare diritti con il regime dei talebani

Enrico Cicchetti

Un anno dopo la caduta di Kabul, nel paese è catastrofe umanitaria. Le storie di chi rimane e degli operatori che provano, tra immani difficoltà, a sostenere una popolazione allo stremo

“In principio è stata l'emergenza. Nei primi momenti dovevamo proteggere tutte le attiviste e le beneficiarie di vent'anni di lavoro. Abbiamo bruciato i documenti, bloccato l'ufficio di Kabul ed evacuato il personale. Poi la preoccupazione è stata quella di non lasciare il paese”. In principio è stata l'emergenza, dice al Foglio Luca Lo Presti, fondatore e presidente di Pangea, l'organizzazione che esattamente un anno fa, alla caduta di Kabul, ha coordinato gli espatri di quasi tutte le ong che avevano bisogno di portare via il personale. Di quei giorni ricorda tutto: l'ansia, la paura, le decisioni difficili e fondamentali da prendere, in poco tempo. “E poi quello che andava fatto subito: le case rifugio per le donne target che i talebani, per mesi, hanno ricercato, in una spietata caccia all'uomo”. Ma l'emergenza non è finita. Anzi, è appena iniziata. L'Afghanistan continua a vivere il suo momento più buio. Secondo l'Unhcr nel paese è in atto “una gigantesca catastrofe umanitaria, 24 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari vitali". Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 98 per cento e per il World Food Program “il 95 per cento delle famiglie non consuma abbastanza cibo” mentre l'Oms parla di un sistema sanitario al collasso.

      

      

A fine luglio l'ultimo corridoio umanitario ha portato a Fiumicino 300 profughi. Ma quella dell'Afghanistan è la storia di chi rimane. È quella dei beneficiari dei progetti di Nove onlus, in Afghanistan dal 2013: quella di M., che ha tredici anni e vive nell'orfanotrofio di Kapisa col fratello. Il ricordo della morte del padre, caduto da un cantiere, gli fa bagnare il letto di notte e lo fa balbettare. È la storia di Fatima, 28 anni, analfabeta, che vive con i tre figli piccoli. Morto il marito in un attentato, trovare lavoro per lei è quasi impossibile. Uno dei parenti acquisiti ha cercato di obbligarla a sposare un anziano legato ai talebani. Le è stata trovata una casa sicura in un altro quartiere e riceve un sostegno mensile per sopravvivere e mandare a scuola i figli. È la storia di A. una delle molte vittime della riapertura indiscriminata delle carceri fatta dai talebani. Era riuscita a divorziare e fuggire da un marito violento che la massacrava di botte. Ma ora lui è a piede libero. La cerca e ha già ucciso i suoi parenti. A. è appena riuscita a lasciare il paese. È la storia di Hamid, incontrato da Pangea, che a Kabul ripara scarpe per 20 centesimi, e con quelli deve sfamare moglie e quattro figli.

 

Ugo Panella per Fondazione Pangea Onlus 
   

Uno stato al collasso

Storie che forse oggi non esisterebbero senza le ong che lavorano in Afghanistan. Come? La parola chiave è negoziato. "Si naviga a vista", sostiene Livia Maurizi, responsabile dei programmi internazionali di Nove. "Le autorità de facto sono frammentate al proprio interno. Negoziamo ad personam, cercando 'alleati' sul territorio. E la mancanza delle diplomazie sul posto è un altro punto critico per gli operatori”. È l'assenza di un salvagente, dicono le ong, che pure riconoscono la grande attenzione della vice ministra Sereni e dell'ambasciatore Sandalli. "Sulla pelle delle donne – conferma Lo Presti – si gioca lo scontro intestino tra moderati e integralisti. Da un mese a questa parte c'è stato un ulteriore inasprimento. Poche settimane fa il nostro direttore è stato picchiato perché accompagnava all'ospedale un'afgana".

     

Per il presidente di Pangea la "grande contraddizione talebana" è che i gli interessi contrastanti delle fazioni opposte rendono ancora più inefficiente la macchina dell'emirato islamico, "paralizzano le possibilità di intervento, le opportunità di curare un paese in fin di vita. C'è necessità di tutto ma la frammentazione dei territori e il banditismo rendono tutto lento e difficile". I talebani stanno perdendo il controllo nel nord del paese, che sta passando nelle mani dello Stato islamico. E dopo uccisione di al Zawahr, la mancanza del leader di al Qaida crea nuovo scompiglio. Come si può lavorare con igli integralisti? "Nella mia testa ci sono tante contraddizioni. Fatico a dirlo ma so che qualche apertura va tentata, perché la popolazione è allo stremo", dice. "C'è la rabbia di dovere barattare dei diritti: una strada e un pozzo in cambio di piccole libertà per le donne. È un gioco pericolosissimo".

    

Le difficoltà finanziarie: "Per fare arrivare i fondi bisogna ingegnarsi"

E poi le ong devono fare i conti con le difficoltà di finanziarie. "Per portare nel paese i soldi necessari a pagare personale e strutture bisogna ingegnarsi nei modi più pazzeschi", ammette Lo Presti, senza entrare troppo nel dettaglio. L'anno scorso, mentre i talebani prendevano il controllo della capitale, per impedire loro l’accesso a miliardi di dollari, l'amministrazione Biden ha congelato le riserve del governo afghano depositate in banche americane. A tutt'oggi le banche non hanno liquidità per erogare alcunché. Inoltre circa il 75-80 per cento del budget statale prima dell'agosto 2021 era finanziato dalla comunità internazionale: una volta tolta questa fetta enorme il sistema collassa.

  

Video Nove Onlus Programma di Emergenza Afghanistan LifeLine

   

"Le organizzazioni possono accedere in maniera molto ridotta al sistema bancario", spiega Maurizi. "Per esempio si può prelevare settimanalmente dal conto in banca solo il cinque per cento del saldo mensile. Che non è nulla quando hai centinaia di metri cubi di cibo da comprare. Certo, esistono dei sistemi di trasferimento di fondi non tradizionali per far sì che le organizzazioni possano lavorare. Ma questo comporta un'operatività ridotta e costi maggiori. Inoltre non tutti i donatori sono favorevoli: alcune organizzazioni hanno dovuto restituire i loro fondi. Ci sono già state deroghe, per esempio attraverso il meccanismo dell'humanitarian plus della Commssione europea. Anche in questo caso occorre una negoziazione, se no non si può operare". 

 

Il desiderio di esistere

"La situazione si fa sempre più deteriorata, soprattutto per le donne e le bambine", aggiunge la coordinatrice di Nove. "Le donne sono metà della popolazione e anche i ttalebani hanno bisogno di loro per fare reggere sulle proprie gambe il loro paese". Secondo il rapporto Global Citizen sull'uguaglianza di genere del 2021, l'Afghanistan è il posto peggiore del mondo per una donna. 

       

Video di Nove onlus e OTB Foundation

    

"Da un mese a questa parte – conferma Lo Presti – c'è stato un ulteriore inasprimento. Le donne possono essere uccise seduta stante se si permettono di dire una cosa, di volere andare a scuola, di volere esistere. La speranza per il futuro dell'Afghanistan è che i profughi possano strutturarsi intellettualmente nei paesi ospitanti e poi tornare là, dove tuttora esiste un movimento di resistenza intellettuale che difficilmente si spegnerà. Ragazzi nati nel 2001, che oggi sono ventenni, donne, che sono sempre la chiave di rottura, che non mollano, che scendono in piazza. Nostro compito è anche aiutare a strutturare consapevolezza oltre che a fare ripartire un'economia".

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  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti