in iraq

Il populista sciita Sadr manda (di nuovo) in crisi Baghdad

Francesco Petronella

In gioco non ci sono solo gli equilibri tra i vari partiti iracheni, ma anche le leve del potere delle fazioni sciite: quelle fedeli all’Iran e quelle più nazionaliste

L’instabilità e la frammentazione sono cifre distintive della politica irachena, ma l’ultima mossa del leader sciita Muqtada Al-Sadr rischia di aprire scenari ancora inesplorati. Dopo sette mesi di vani tentativi per formare un nuovo governo – dopo le elezioni dello scorso ottobre – il potente capo religioso ha ordinato ai 73 deputati del suo partito abbandonare i seggi conquistati alle urne. Sadr, pur non avendo alcun ruolo ufficiale né all’interno del partito né a livello istituzionale, è senza dubbio una delle figure politiche più importanti dell’Iraq contemporaneo. Il blocco Al Sairoon – il suo movimento politico – controllava il gruppo parlamentare più nutrito sui 329 seggi totali.

 

Nella giornata di lunedì, 13 giugno, si è ritirato anche il candidato sadrista alla carica di premier, Mohammed Jaafar Al-Sadr, omonimo in quanto cugino del religioso sciita. I colloqui sulla formazione di un governo si sono interrotti a causa dei disaccordi su chi avrebbe assunto la carica di presidente. Secondo il sistema iracheno, istituito dopo che la coalizione a guida americana ha rovesciato il regime di Saddam Hussein nel 2003, il presidente nomina il premier e i ministri, che devono poi essere “approvati” dal Parlamento. Al-Sadr punta a ottenere un risultato propagandistico, scaricando sui rivali la responsabilità dell’impasse. “Se la sopravvivenza del blocco sadrista è un ostacolo alla formazione del governo, allora tutti i rappresentanti del blocco sono pronti a dimettersi dal Parlamento”, ha affermato Al-Sadr in un comizio.

 

In gioco non ci sono  solo gli equilibri tra i vari partiti iracheni, ma anche le leve del potere delle fazioni sciite: quelle fedeli all’Iran e quelle più nazionaliste. Muqtada Al-Sadr e il suo movimento rappresentano l’anima “anti-iraniana” dello sciismo iracheno. I loro principali rivali sono i partiti filo-Teheran – come l’Organizzazione Badr – e le milizie sostenute dall’Iran. Formate nel 2014 per combattere lo Stato islamico, ora fanno ufficialmente parte delle forze irachene, anche se il governo di Baghdad le controlla solo nominalmente. Il quotidiano Al Quds al Arabi riferisce che i filo-iraniani si sono rivolti ad Ali al Sistani, il Grande Ayatollah e massimo leader religioso iracheno, per convincere i sadristi a tornare in Parlamento e provare a formare un governo. 

 

“Tra i possibili scenari c’è  il ritiro del blocco sadrista che porti  allo scioglimento del Parlamento e a elezioni anticipate”, spiega al Foglio Francesco Salesio Schiavi, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). “La dimissione di un intero gruppo parlamentare non ha precedenti nella storia recente irachena. La legge elettorale contempla casi relativi a singoli legislatori, non le dimissioni di 73 parlamentari”, argomenta l’esperto. “E’ più probabile che ci sia un drastico cambiamento di rotta da parte delle altre forze sciite, quelle del cosiddetto Quadro di coordinamento, che cercheranno di sfruttare la situazione per aumentare la propria presenza in parlamento e tentare la formazione di un governo”, dice Salesio Schiavi. Tuttavia, “ottenere il consenso necessario di due terzi dei parlamentari non sarà operazione semplice, anche conquistando i seggi abbandonati dai sadristi”, prosegue. “I principali attori politici in questo quadro sono sunniti e curdi, ma è difficile che venga meno la capacità decisionale e di influenza di Muqtada Al-Sadr. Se si formasse un governo di unità nazionale senza Sairoon, Al-Sadr resterebbe leader di una forte opposizione extraparlamentare.

 

E’ un leader populista molto influente e spesso si dice che ottenga in strada ciò che non riesce a ottenere in Aula”, aggiunge l’esperto. “Altro scenario è che il Quadro offra ad Al-Sadr un ruolo nel nuovo governo, nell’idea di riunire la casa sciita sotto lo stesso ombrello. Per il leader religioso sarebbe un riconoscimento della sua centralità”, spiega ancora lo studioso. “Da un punto di vista regionale, la formazione di un governo sotto la guida dei partiti legati all’Iran sarebbe chiaramente ben vista da Teheran. La posizione iraniana però è sempre in bilico: se il governo si crea ma finisce per cadere sull’onda di proteste come quelle del 2019, questo avrebbe ripercussioni molto importanti sull’influenza iraniana nel paese. L’equilibrio del vicino resta quindi una priorità per Teheran”, conclude Salesio Schiavi.

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