Erdogan vuole essere cruciale sul dialogo russo-ucraino, sul grano, sulla Nato

Paola Peduzzi

Se ha catturato vivo il capo dell’Isis il potere del presidente turco raddoppia, le conseguenze per quel che riguarda il ruolo della Turchia in questa fase di sconvolgimento e riassestamento delle alleanze a causa della guerra sono enormi

Secondo alcune fonti anonime turche riprese dai media internazionali – Bloomberg è stato il primo – la polizia e l’intelligence di Ankara hanno arrestato il capo dello Stato islamico durante un’operazione di controterrorismo a Istanbul. Su Abu al Hasan al Quraishi, l’attuale leader del gruppo terroristico che opera principalmente in Siria e in Iraq, le notizie sono scarne: ha preso il posto di Abu Ibrahim al Quraishi, che era stato ucciso dalle forze speciali americane a febbraio ad Atmeh, un villaggio siriano poco distante dal confine con la Turchia. La catena di comando dello Stato islamico è diventata nebulosa dopo che Abu Bakr al Baghdadi, che si era proclamato califfo, si è ucciso nell’ottobre del 2019 durante un raid della Delta Force in un villaggio siriano a dieci chilometri dal luogo del blitz di febbraio. Secondo queste prime notizie – l’identificazione  è stata data dal portale turco OdaTv – il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, dovrebbe annunciare la cattura nelle prossime ore.

 

Se l’arresto sarà confermato, le conseguenze per quel che riguarda il ruolo della Turchia in questa fase di sconvolgimento e riassestamento delle alleanze a causa della guerra in Ucraina sono enormi. Non soltanto perché il leader dello Stato islamico sarebbe stato catturato vivo, ed è la prima volta che succede, ma anche perché Erdogan si sta ritagliando uno spazio di forza e ambiguità assieme per diventare cruciale nelle prossime scelte strategiche. Ankara vuole essere mediatrice tra Russia e Ucraina: non c’è da fidarsi, e probabilmente nemmeno il Cremlino si fida  così tanto visto che una delle armi più famose in dotazione agli ucraini è il drone Bayraktar, che è turco. Ma il rapporto tra Turchia e Russia è fatto di intese e di dissapori:  nell’ambiguità spesso violenta sono a loro agio sia Erdogan sia Vladimir Putin. 

 

Dal presidente turco non passa soltanto la fragile mediazione diplomatica sul conflitto in Ucraina. Passa il corridoio per sbloccare i container di grano fermi nei porti del mar Nero: ancora ieri una delegazione turca ha discusso con russi e ucraini per garantire un corridoio per il grano che attraversi il Bosforo. Da Erdogan passa anche l’assetto futuro dell’Alleanza atlantica, in particolare l’ingresso di Svezia e Finlandia. Il presidente turco sta facendo di tutto per sfruttare il suo potere dentro la Nato: vuole i cacciabombardieri americani, vuole avere mano (ancora) più libera nella sua guerra ai curdi, in Siria e in Iraq, in Libia  e nel Caucaso. L’approccio di Erdogan nei confronti dell’occidente è sempre lo stesso, quello del ricatto, e tendenzialmente la risposta dell’occidente è accondiscendente. Si è visto con l’accordo sui rifugiati stipulato dall’Unione europea e si vede anche ora dalle parole  della Nato: troveremo un compromesso. Quando Erdogan esagera, si utilizzano le leve economiche per ammansirlo: non è difficile, vista la  gestione catastrofica della valuta e dell’economia turca. Se ora il presidente turco può mettere sul piatto anche il leader dello Stato islamico, il suo potere di contrattazione diventa ancora più grande, e così la nostra dipendenza da un alleato importante e ingestibile.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi