Perché l'Italia deve riconoscere l'Holodomor ucraino come genocidio

Luciano Capone

Quattro milioni di morti per fame in sei mesi, il più grande massacro del XX secolo dopo la Shoah. L’Holodomor, la grande carestia prodotta da Stalin per stroncare la nazione ucraina, ci parla del piano di "deucrainizzazione" di Putin

“L’attuale disastro provocherà una colonizzazione in prevalenza russa dell’Ucraina. Essa trasformerà il suo carattere etnografico. In un avvenire forse molto prossimo non si potrà parlare di Ucraina né di un popolo ucraino e quindi nemmeno di un problema ucraino, poiché l’Ucraina sarà divenuta una regione russa”. Sembrano parole di oggi ma risalgono al maggio 1933: è il contenuto di una lettera del console italiano a Kharkiv Sergio Gradenigo che descriveva la carestia indotta dall’Unione Sovietica per stroncare l’Ucraina. Passata alla storia come Holodomor, termine che significa “sterminio per fame”, è il più imponente massacro della storia europea del XX secolo dopo la Shoah: quattro milioni di morti in sei mesi, gennaio-giugno 1933. Uno sterminio pianificato da Stalin per piegare i contadini ucraini e liquidare l’élite nazionale.

 

Di questa pagina nera e poco conosciuta della storia europea se ne occuperà il Parlamento, che dovrà discutere una mozione del Pd volta a “riconoscere l’Holodomor come genocidio”. “È anche il riconoscimento di un elemento fondamentale dell’identità ucraina – dice al Foglio Fausto Raciti, primo firmatario della mozione – proprio per contrapporsi oggi a quella che Putin chiama ‘denazificazione’ e che non è altro che ‘deucrainizzazione’”. La mozione sull’Holodomor è, dicono i proponenti, aperta a tutte le forze politiche proprio perché l’auspicio è che raccolga un consenso ampio e trasversale. Il contenuto è sicuramente solido dal punto di vista storiografico, dato che la mozione è stata presentata da Andrea Graziosi, storico del periodo sovietico, e tra i primi al mondo insieme a Robert Conquest a essersi occupato del tema, proprio raccogliendo i rapporti dei diplomatici italiani sulla carestia del 1932-33 (a fine anni 90 il suo libro "Lettere da Kharkov" fu un caso editoriale).

 

Ma è ovvio che, al di là del riconoscimento storico del genocidio, la mozione ha un significato politico. Che è quello di riconoscere l’identità del popolo e della nazione ucraina, che si è fondata e legittimata sulle sofferenze di uno dei più grandi crimini del Novecento, ricostruendo un senso di appartenenza che non è etnonazionalista ma in grado di abbracciare la pluralità di lingue, etnie e religioni che compongono la società ucraina. Insomma, l’opposto dell’etichetta di “nazismo” e “banderismo” appiccicata da Putin. L’altro elemento conseguente di questo riconoscimento è il “mai più”, che è lo spirito che caratterizza i popoli vittime di genocidio e che, probabilmente, ha animato gli ucraini nella resistenza all’invasore. Soprattutto quando la storia sembra ripetersi, negli obiettivi (la “deucrainizzazione”) ma anche nei metodi: Putin come Stalin ha rubato e requisito il grano ucraino, bloccato i porti, impedito la raccolta, bombardato i depositi di carburante per impedire la semina. La memoria, inevitabilmente, torna alla strategia staliniana dell’uso della fame (in questo caso anche come minaccia per il resto del mondo) per piegare la resistenza degli ucraini.

 

Infine questa mozione presenta un altro aspetto politico degno di nota: che a presentarla sia il Pd, erede del Pci, e non una forza di centrodestra. Sarà interessante vedere come si comporteranno FdI, Lega e FI – anche se non c’è ragione per dubitare sul loro appoggio alla mozione – ma è di per sé significativo che una risoluzione del genere non sia stata presentata in 30 anni da una coalizione che ha avuto l’anticomunismo come collante. È evidente che nessuna forza politica ha avuto l’interesse a sollevare una questione, come il riconoscimento del genocidio dell’Holodomor, che avrebbe indispettito un paese come la Russia che era ritenuto un importante partner commerciale se non, in alcuni casi, un alleato e un modello politico.

 

Ma neppure questa sorta di realpolitik storiografica è una novità. Negli anni 30 il regime fascista era ben consapevole di cosa stesse succedendo in Ucraina, proprio grazie alle drammatiche e dettagliate relazioni inviate a Roma dai suoi diplomatici in Urss. Ma Mussolini non sollevò mai il tema della carestia e dei crimini del comunismo perché proprio all’inizio degli anni Trenta si intensificavano i rapporti di amicizia con Mosca, culminati con il Patto di amicizia e non aggressione tra Italia e Unione Sovietica firmato nel 1933. Mentre milioni di ucraini morivano di fame, l’Italia e il mondo si voltarono dall’altra parte.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali