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Per Putin il bilancio provvisorio della guerra in Ucraina è un disastro

Luciano Capone

Enormi perdite militari, crisi economica, Svezia e Finlandia nella Nato, Ucraina verso l’Ue. Si allarga sempre di più il divario tra ambizioni geopolitiche di Mosca e risorse materiali per sostenerle. Non proprio un capolavoro strategico per lo zar

Mentre i suoi propagandisti e sottoposti minacciavano sfracelli e bombe atomiche, Vladimir Putin è costretto a fare buon viso a cattivo gioco. “L’espansione della Nato è artificiale – ha detto – La Russia non ha problemi con Finlandia e Svezia, la loro possibile adesione alla Nato non crea alcuna minaccia per Mosca”. Da un lato è il segno di quanto fosse pretestuoso il problema dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato (che non era all’ordine del giorno), dall’altro di quanto le cose stiano andando male per il Cremlino. Il bilancio provvisorio dell’“operazione speciale” mostra un divario enorme tra gli obiettivi e i risultati.

 

Se Putin immaginava di prendersi tutta l’Ucraina attraverso un regime change, in pochi giorni e sparando pochi colpi (un po’ sul modello dell’annessione della Crimea, iniziata con un blitz militare a fine febbraio del 2014 e portata a termine in tre settimane), in realtà ha subito perdite militari enormi a fronte di conquiste territoriali scarse, che per giunta si riducono sempre di più. Secondo le stime del ministero della Difesa britannico, la Russia ha perso un terzo delle sue truppe di terra. I soldati caduti sul campo di battaglia sono oltre 20 mila, tra cui 12 generali. Oltre alle perdite umane, sono considerevoli anche quelle di mezzi militari: oltre 3 mila pezzi di grandi dimensioni, tra cui più di 500 carri armati, 300 veicoli corazzati, 20 caccia e 30 elicotteri. Per non parlare della Moskva, l’ammiraglia della Flotta del Mar Nero, il cui affondamento è diventato il simbolo del divario tra ambizione e realtà delle forze armate russe.

 

Dal punto di vista delle conquiste, per il momento i generali di Putin hanno ottenuto poco: dopo aver rinunciato a prendere Odessa, dopo aver fallito la presa di Kyiv, dopo il ritiro da Sumy e Chernihiv, le truppe russe si sono ritirate anche da Kharkiv (che i separatisti avevano conquistato per pochi giorni anche nel 2014), per concentrarsi sul Donbas dove però l’offensiva è al palo. Dietro si sono lasciati solo una lunga scia di sangue e crimini di guerra, che resteranno a lungo nella memoria degli europei. Le uniche conquiste di Putin sono Kherson, la città di Mariupol, completamente distrutta, e la fascia costiera che unisce il Donbas alla Crimea. Ma per la Russia le perdite immediate sul campo di battaglia sono solo una frazione di quelle a lungo termine fuori.

 

L’“operazione speciale” in Ucraina segna un ridimensionamento delle ambizioni globali della Russia: non solo il mondo ha scoperto che le forze armate russe sono molto più scadenti di quanto immaginassero, ma in futuro sarà molto peggio. Secondo i calcoli di Mark Cancian, analista del Center for Strategic and International Studies di Washington, in due mesi gli ucraini hanno distrutto l’equivalente di di due anni di produzione russa di carri armati. Il problema è che alla Russia servirà molto più tempo per ricostruire il proprio arsenale, perché le sanzioni colpiscono profondamente l’industria della difesa a cui mancherà la componentistica occidentale. Ciò vuol dire anche una perdita d’influenza globale, visto che l’industria militare è uno strumento cruciale della politica estera russa per rafforzare i legami con i partner in giro per il mondo. Sempre dal punto di vista dell’influenza politica, Putin ha rotto irrimediabilmente i rapporti con l’Europa e paesi come la Germania, che ha addirittura deciso di riarmarsi: la grande impensabile novità nella politica di sicurezza europea insieme agli ulteriori 1.300 chilometri in più di confine tra Nato e Russia in Finlandia.

 

È  svanito anche il soft power di Putin sull’opinione pubblica occidentale: il Cremlino negli anni aveva costruito una ragnatela di rapporti e accordi con i partiti di destra – da Le Pen in Francia a Salvini in Italia, passando per AfD in Germania e Fpö in Austria – che ora non esiste più. I partiti hanno preso le distanze e nell’elettorato l’immagine del criminale di guerra ha preso il posto di quella del judoka. Un’altra sconfitta strategica per Putin è l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea. La crisi del 2014 esplode proprio perché Putin vuole l’Ucraina nell’Unione eurasiatica, l’area economica dominata da Mosca, e pertanto costringe il governo ucraino a non firmare l’Accordo di associazione con l’Ue. Da lì la rivoluzione di Euromaidan contro il presidente Yanukovich. Sebbene molti paesi in Europa fossero scettici rispetto all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, dopo l’invasione e i massacri di Putin è diventata inevitabile.

 

Le sanzioni occidentali hanno poi prodotto un tracollo economico: -12% di pil e inflazione oltre il 20%. La più grave crisi degli ultimi 30 anni, che non è uno choc temporaneo, ma una trasformazione strutturale da cui l’economia russa uscirà fortemente indebolita nel medio termine. E non si tratta solo di una perdita di benessere per i russi. A parte la possibile instabilità interna, per il regime vorrà dire che il divario, già ora ampio, tra le ambizioni geopolitiche di Putin e le risorse materiali della Russia si allargherà ulteriormente. Russia più debole e isolata (completamente dipendente dalla Cina), Nato più grande, Ucraina nell’Ue. Non proprio un capolavoro di strategia per lo zar.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali