I fronti della guerra lunga
Putin sognava il trionfo di Stalin e si ritrova nei panni di Brežnev
Le azioni di guerriglia ucraina nei territori proibiti sotto il controllo di Mosca e i piani per riconquistare Kherson, ormai città di fantasmi
Arrivano in questi giorni immagini di mezzi militari russi che sembrano sbriciolarsi al vento. Non riescono a superare ponti, rimangono bloccati, nel tentativo di superare fiumi come il Seversky Donets. E nonostante la Russia con i suoi uomini e i suoi carri armati sembri sempre più impantanata, le richieste di dialogo arrivano da Kyiv, che invece porta avanti la sua resistenza. Anche ieri il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto di essere pronto a parlare con Vladimir Putin, ma il primo passo per dialogare deve essere fatto da Mosca, uscendo dal territorio ucraino invaso. Perché è stata la Russia a volere questa guerra e a volersi impantanare, e che rifiuti il dialogo mentre i suoi uomini muoiono e i suoi mezzi si fermano per strada sembra ogni giorno più insensato. In alcune parti la Russia avanza, in altre perde territorio e a Kharkiv, una delle oblast in cui Mosca ha registrato i primi successi, gli ucraini ogni giorno fanno il conto dei villaggi liberati e cercano di aprirsi una strada fino al confine per rompere la catena di rifornimenti dalla Russia. L’esercito di Mosca registra più successi nell’oblast di Luhansk, e cerca di tenersi stretti i territori già occupati. Come Kherson, che si sta trasformando in una regione fantasma. Gli abitanti dell’oblast e della città che ne prende il nome sono russofoni, ma non hanno mai accettato l’occupazione, che non solo ha imposto la propria legge, ma li bombarda con la propaganda: si vedono tv russe e si sentono radio russe. Gli abitanti hanno protestato per strada con la bandiera ucraina in mano, a Kherson è stato anche colpito un funzionario dell’amministrazione insediata dagli occupanti. Chi può se ne va, lascia la città di fantasmi: il 40 per cento della popolazione è scappato.
Le autorità dell’oblast di Kherson, non quelle elette, ma quelle volute da Mosca, hanno chiesto al Cremlino di riconoscere la regione come parte della Russia e a breve potrebbe esserci un referendum in stile Crimea: la penisola venne annessa tramite una votazione non riconosciuta. Le autorità ucraine hanno detto che sono pronte a riconquistare Kherson, che non la lasceranno mai ai russi, per quanto bene si siano insediati. Non sappiamo se abbiano dei piani per contrattaccare, per portare avanti una controffensiva come quella di Kharkiv, zona che sembrava perduta. A Kherson la situazione è diversa, è la prima grande città ucraina caduta in mano russa, è vicina alla Crimea che Mosca sta armando sempre di più, ma gli ucraini hanno dimostrato di saper compiere azioni anche in un territorio che non controllano più, come nel Donbas, o che non è loro, come in Russia.
Il generale Yakov Rezantsev, quando comunicò alle sue truppe che avrebbero attaccato l’Ucraina, disse: “Questa operazione finirà presto”. La conversazione fu intercettata. Rezantsev è stato ucciso a marzo vicino a Kherson e i suoi uomini, se vivi, combattono ancora un conflitto sempre più logorante. Putin ha accettato la guerra lunga perché non può fare altro, ma anche nel Donbas il suo esercito si ritrova a fronteggiare la resistenza ucraina, che riesce a fare azioni di guerriglia anche in un territorio che non si presta. Putin sperava nella grande vittoria: non l’ha mai dichiarato, ma puntava a un trionfo simile a quello ottenuto da Stalin alla fine della Seconda guerra mondiale. Sta invece trascinando la Russia in una guerra potenzialmente infinita, come fece Leonid Brežnev con i soldati sovietici in Afghanistan.
L'editoriale del direttore