Il problema tedesco

"Con la guerra sono crollati i pilastri del mondo di Merkel”. Parla Parsi

Luciano Capone

Le incertezze sul gas russo e le ambiguità sulle armi agli ucraini. “In Germania l’opinione pubblica ha valori democratici molto forti, ma nella dirigenza si sente la mancanza dei Fischer, Kohl, Genscher... In Ucraina c’è uno scontro tra le società aperte e le autocrazie, l'Europa deve richiamare Berlino alle sua responsabilità". Intervista al politologo della Cattolica

La guerra in Ucraina ha fatto entrare la Germania in una crisi che è anche d’identità: dal rapporto con la Russia alla politica di difesa. “L’ordinato mondo che i tedeschi avevano in mente, in cui la sfida principale era la transizione ecologica, è saltato. E non perché la transizione energetica sia diventata meno importante, anzi. Ma perché si è sbriciolata l’idea tedesca che tutto si incasella secondo una gerarchia”, dice Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano. La preoccupazione per la Germania era la stabilità economica. “E’ emersa così la vera criticità europea, frutto dell’egemonia politico-culturale della Merkel che ha imposto un modello economico fondato sull’export e vulnerabile sia dal lato dell’acquisizione delle materie prima sia dal lato dei mercati di sbocco: si prende energia dalla Russia e si vendono prodotti in Cina. L’asse russo-cinese ora è un incubo”.

 

Nel suo ultimo libro “Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale”, Parsi descrive le fragilità di un sistema occidentale troppo concentrato sull’economia che ha trascurato i rischi politici, come appunto la Russia. In un intervento del 2014, visibile su YouTube, dopo l’annessione della Crimea Parsi diceva che la Germania stava sottovalutando la minaccia di Putin e che per l’Europa era vitale sganciarsi dalla dipendenza energetica russa. Profetico. “Guardi, a differenza di altri non penso di essere un profeta né un genio. Se l’ho capito io vuol dire che si poteva capire tranquillamente. Bastava guardare la realtà”.  Non si voleva vedere la sfida di Putin in Ucraina. “Si preferiva pensare ‘la guerra è finita, andiamo avanti a fare i danè’. Il classico appeasement: ‘Massì, diamogli i Sudeti così la smette’”, dice Parsi.

 

La sensazione è che se Putin fosse riuscito a prendersi tutta l’Ucraina, tutto sarebbe proseguito come prima. “Infatti abbiamo iniziato a reagire quando ci siamo sorpresi che gli ucraini hanno resistito”. Epperò la Germania è ancora titubante: è cauta sulle sanzioni sull’energia e dice no alle armi pesanti all’Ucraina... “La Germania è piena di carri armati, ma dice: ‘Servono a noi in caso di guerra con i russi’. Ma così facendo la rende più probabile, perché i russi li fa avvicinare. Un’Ucraina indipendente invece li tiene più lontani”. Più che l’opinione pubblica tedesca è la classe dirigente a frenare. “In Germania l’opinione pubblica ha valori democratici molto forti, è formata da anni di educazione a fare i conti con il proprio passato. Nella dirigenza si sente la mancanza dei Fischer, Kohl, Genscher... è la conseguenza di un quindicennio di mediocrità merkeliana, senza senso della storia, che ha portato a un’involuzione della classe dirigente. Già durante la crisi greca si era vista la mancanza di coraggio”.

 

Ma l’Europa, con una Germania imbambolata e reticente, dove va? “L’Ue – sostiene Parsi – deve fare pressione sulla Germania ma sostenendola, per consentire al dibattito tedesco di evolvere. E’ quello che stanno facendo bene i vari Michel, von der Leyen, Borrell, Gentiloni: aiutare la Germania a non deragliare, richiamarla alle sue responsabilità storiche e morali”. Il cancelliere Scholz e la Spd devono archiviare l’Ostpolitik. “L’Ostpolitik era un modo per gestire la divergenza, non per inventarsi una convergenza. Ora non ha senso. In Ucraina c’è uno scontro tra le società aperte e le autocrazie, che disegnano un futuro in cui non c’è spazio per la libertà. Non si può consentire un avanzamento di quelle posizioni”. Non è retorico dire che gli ucraini combattono anche per noi. “Non è retorica, per l’Europa è una linea rossa politica e morale”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali