La scommessa pericolosa

Ambiente e dipendenza dalla Russia. L'irresponsabilità della Germania sul nucleare

Carlo Stagnaro

Per Scholz “non sarebbe un buon piano” rinviare la chiusura delle centrali. Ma così aumentano le emissioni di CO2 e il flusso di soldi verso Mosca

La Germania sembra pronta a confermare l’uscita definitiva dal nucleare entro la fine dell’anno. Il cancelliere Olaf Scholz ha detto che allungare la vita delle centrali “non sarebbe un buon piano”. E’ probabile che Scholz paghi pegno ai numeri in Parlamento e alla stabilità della coalizione, di cui fanno parte i Verdi, che lo sostiene. E’ possibile anche che l’opinione pubblica tedesca ne sia ancora convinta, anche se gli ultimi sondaggi mostrano un supporto crescente per l’atomo. Ciò non toglie che si tratti di una scelta irresponsabile nel contesto attuale
In Germania sono operative tre centrali nucleari, per una potenza complessiva di circa 4 GW. Altre tre, di potenza analoga, sono state spente lo scorso 1 gennaio. Nel 2021 l’atomo ha prodotto circa 65 TWh di energia, corrispondenti al 12 per cento dei 518 TWh immessi in rete. Quest’anno, a causa dell’uscita di scena di metà della flotta nucleare, ci si attende un output attorno ai 30 TWh, che potrebbe venir meno già dal 2023. 


L’abbandono del nucleare risponde a ragioni puramente ideologiche, che vanno di pari passo con la crescita dell’influenza dei Verdi negli equilibri politici. Prima che l’incidente di Fukushima costringesse Angela Merkel a una precipitosa retromarcia, Berlino aveva approvato l’allungamento della licenza degli impianti esistenti. Per esempio, i tre che quest’anno dovrebbero chiudere i battenti avrebbero dovuto procedere fino al 2034-36. Lo stesso Scholz, che oggi rivendica tale decisione, era all’epoca ministro delle Finanze e vice cancelliere. In questo decennio, il dietro-front sul nucleare ha creato seri grattacapi alla politica energetica tedesca. Sebbene il paese abbia visto crescere vertiginosamente le fonti rinnovabili, a parità di altri elementi, l’uscita di scena dell’atomo ha rallentato il calo delle fonti tradizionali. In particolare del carbone (che nel 2021 ha erogato il 30 per cento dell’elettricità tedesca) e del gas (12 per cento). Ciò ha prodotto un rallentamento pure dal punto di vista ambientale: non a caso il contenuto di CO2 dell’energia elettrica tedesca (311 g CO2 / kWh), sebbene dimezzatosi rispetto al 1990, rimane nettamente superiore sia alla media Ue (231 g CO2 / kWh) sia a paesi come l’Italia (213 g CO2 / kWh).
Ma l’aspetto veramente grave, oggi, ha a che fare con l’invasione russa dell’Ucraina. In un momento in cui tutti cercano di limitare la domanda di gas, la Germania compie una scelta di tenore opposto. Nella situazione peggiore, se i 30 TWh mancanti dovessero essere coperti da impianti a metano, nel 2023 la domanda tedesca di gas dovrebbe crescere di 6 miliardi di metri cubi, corrispondenti a quasi il 7 per cento dell’attuale consumo lordo (circa 90 miliardi di metri cubi). Se anche la produzione nucleare fosse rimpiazzata interamente da rinnovabili, in ogni caso questo implicherebbe la rinuncia a sostituire gas e carbone per un ammontare equivalente. 


Tra l’altro, una breve deviazione dalla politica di chiusura del nucleare non metterebbe assolutamente in discussione l’obiettivo di medio termine della Germania, cioè la piena denuclearizzazione. Si tratta di superare la fase emergenziale, comprando tempo per consentire ai sistemi energetici europei di emanciparsi da Mosca. E’ quello che ha fatto il Belgio, spostando l’abbandono del nucleare dal 2025 al 2035. Ma probabilmente basterebbe meno: se la Germania facesse slittare la deadline dal 2023 al 2028 – rimandandola cioè di soli cinque anni – darebbe respiro a un mercato che non è mai stato tanto corto di gas. Ciò non ha nulla a che fare col rilancio dell’atomo, che invece è al centro delle strategie francesi e britanniche: sarebbe solo  un espediente per guadagnare sicurezza e ridurre i finanziamenti, diretti e indiretti, al Cremlino. 
Lo scenario che si è venuto a creare determina un cambiamento almeno altrettanto radicale di quello che, nel 2011, spinse al ribaltone sul ruolo dell’energia nucleare. Eppure perfino allora si scelse di perseguire il phase-out attraverso un decennio di transitorio. Cos’altro deve accadere perché il buonsenso metta in crisi tanta rigidità ideologica e politica?

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