All'Europa serve un piano di visti per attirare il capitale umano russo in fuga da Putin

Luciano Capone

Dopo l'invasione dell'Ucraina e le sanzioni occidentali, in Russia centinaia di migliaia di giovani qualificati hanno lasciato il paese. Il Cremlino ha annunciato misure per fermare l'emorragia, l'Ue dovrebbe fare di più per incentivarla

Dopo le immagini dei massacri di Bucha, l’Europa sta rapidamente decidendo di estendere le sanzioni sull’energia per aumentare la pressione economica sulla Russia. In questo contesto il primo ministro della Polonia Mateusz Morawiecki, fautore della linea dura contro Putin, ha proposto di bloccare il rilascio dei visti Schengen ai cittadini russi. Sarebbe un errore clamoroso, perché avrebbe l’effetto di un favore a Putin e di una sanzione contro l’Ue. Ciò che invece dovrebbero fare i paesi europei è l’esatto contrario: insieme o singolarmente, dovrebbero elaborare un grande  programma di concessione di visti e permessi di soggiorno a cittadini russi, focalizzandosi soprattutto sui giovani lavoratori istruiti e nei settori tecnologici, per accoglierli nelle nostre università e industrie.

 

Dopo aver congelato le riserve valutarie, bloccato le importazioni tecnologiche e fatto crollare gli investimenti, per colpire in maniera forte e permanente l’economia russa  l’occidente dovrebbe favorire la fuoriuscita di capitale umano. È un fenomeno già in atto. Il push factor sono state  le sanzioni occidentali: solo nelle prime due settimane dopo l’invasione dell’Ucraina, oltre 200 mila russi hanno lasciato il paese. È un numero notevole, se si considera che dopo il crollo dell’Unione sovietica  in due anni, dal 1992 al 1993, dalla Russia andarono via 1,2 milioni di persone. 

 

Con previsioni macroeconomiche che stimano recessione in doppia cifra (-10 per cento del pil), inflazione in salita (+20 per cento), importazioni dimezzate e crollo degli investimenti (-20per cento), sono tanti i russi che non vedono un futuro nel proprio paese. Soprattutto se alle pessime condizioni economiche si affiancano le ulteriori restrizioni delle libertà politiche e civili. E così a emigrare sono soprattutto giovani con un elevato libello di istruzione. L’Associazione russa per le comunicazioni elettroniche (Raec) ha stimato che da fine febbraio già 50-70 mila specialisti informatici hanno lasciato la Russia e prevede una seconda ondata che ad aprile arriverà ad altre 70-100 mila unità. La gravità di questo deflusso è evidente allo stesso Putin, che ha annunciato alcune misure per tentare di arrestare l’emorragia di capitale umano:  ha esentato dal servizio militare obbligatorio i giovani lavoratori del settore tecnologico, gli ha offerto mutui a tassi vantaggiosi e ha azzerato le imposte sugli utili delle aziende IT fino al 31 dicembre 2024.

 

Probabilmente non sarà sufficiente a fermare l’esodo. A maggior ragione, dopo aver introdotto le sanzioni che spingono all’emigrazione, l’Europa dovrebbe introdurre un pull factor garantendo visti ai giovani più qualificati. Incentivare la fuga di cervelli aggraverebbe i due problemi strutturali dell’economia russa: la dinamica demografica sfavorevole e la produttività stagnante. Ma a differenza delle altre sanzioni, che possono comportare conseguenze negative anche per chi le impone (si pensi all’embargo energetico), favorire l’emigrazione dalla Russia produce solo  benefici per chi intercetta il flusso in uscita. La Russia è tra i primi paesi Ocse per livello di istruzione superiore, con punte di eccellenza in fisica, ingegneria, matematica, chimica e robotica. Se dalla Russia l’Europa riesce a importare meno gas e più cervelli fa un doppio danno al regime di Putin.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali