(foto EPA)

nessuna sorpresa

Ha stato Putin, davvero. Un reportage a spasso nel tempo

Daniele Raineri

L’invasione dell’Ucraina non stupisce soprattutto se si guarda alle “operazioni speciali” del Cremlino degli ultimi anni. Sorprende semmai la dura reazione dell’occidente, fino a ieri tollerante con il nuovo zar. Un'indagine per smascherare, in Italia, gli utili idioti del putinismo

C’è questa versione che circola a proposito del presidente russo Vladimir Putin e l’invasione dell’Ucraina: sarebbe una sorpresa, una mossa inaspettata, una mattana fuori dal canone putinista dello stratega enigmatico che ogni volta frega l’occidente. Chi l’avrebbe mai detto, è la domanda che si sente in giro, che sarebbe arrivato fino a questo punto? Al Foglio la pensiamo nel modo opposto: non c’è alcuna sorpresa nella cosiddetta “operazione militare speciale di denazificazione” in Ucraina, Putin non è impazzito di colpo e l’invasione è il culmine di una sequenza di operazioni aggressive che va avanti da anni nella quasi totale impunità. E’ la fase terminale di una escalation. Se non avesse dato l’ordine di attacco alle sue truppe sarebbe stato meglio, ma che l’abbia fatto è in linea con i suoi precedenti. La sorpresa semmai, questa volta, è la reazione dura da parte dell’opinione pubblica e dei governi occidentali che finora avevano molto tollerato. Non è cambiato lui, siamo cambiati noi e abbiamo deciso che in Ucraina è differente: Putin ha superato la linea della sopportazione. E ora ne paga le conseguenze – o meglio: non paga lui, pagano i russi. 

 

(vignetta di Makkox)

 

Quando il presidente russo ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina (di nuovo, come otto anni fa), di assediarne la capitale e di massacrare con l’artiglieria gli abitanti di Mariupol e di Kharkiv (per ora, poi si vedrà) contava su una reazione tiepida da parte dell’occidente. E perché faceva tutto questo affidamento sull’occidente, come se ci sapesse decifrare in anticipo? Perché siamo stati noi ad addestrarlo così in questi anni. Siamo stati prevedibili. Operazione russa dopo operazione russa, abbiamo sempre scelto di default di prendere la posizione meno forte. Abbiamo sempre evitato la collisione. Ci siamo sempre sforzati di garantire una soluzione finto-dura e molto accomodante. Glielo abbiamo insegnato noi a comportarsi così e lui ha applicato la lezione. 

 

Anzi, una parte dell’opinione pubblica occidentale negli anni ha cominciato a provare una fascinazione perversa per Vladimir Putin. Il suo nome è diventato sinonimo di forza da contrapporre alle mollezze europee e il presidente russo ha fatto molto per rafforzare questo stereotipo. Cavalcare a torso nudo, tuffarsi nei laghi, praticare judo: le foto diffuse dal Cremlino erano pensate per esaltare il modello Putin come politico differente. Finalmente qualcuno che sa il fatto suo. Finalmente un uomo di polso. Finalmente qualcuno con le idee chiare. “Scambio mezzo Putin per due Sergio Mattarella”, come ebbe a dire l’ex ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini. Nacque una simpatia di massa per l’uomo forte russo, che andava forte a destra ma non dispiaceva nemmeno tanto nella sinistra-sinistra, perché per tradizione c’era meno diffidenza verso Putin che verso gli Stati Uniti. I putinisti nostrani cominciarono a minimizzare per partito preso tutte le operazioni ostili compiute dalla Russia e a ridicolizzare chi sospettava della malafede del suo presidente. E tutto questo si condensò in un motto: ha stato Putin.

“Ha stato Putin” come tante formule disgraziate di questi anni fa parte di un repertorio che andava forte sui social. Assieme a “perché non te li prendi a casa tua?” e “i giornali non lo dicono”, passando per il perentorio – seppure di breve durata – “parlateci di Bibbiano!” fino ad arrivare a “dittatura sanitaria”. Ha stato Putin era un raro tentativo di sarcasmo in quella zona social di solito molto cupa. Un altro tentativo di sarcasmo è chiamare gli immigrati con la parola “risorse”, per ridicolizzare chi pensa che gli stranieri diano un contributo fondamentale all’economia dell’Italia. Il fatto è che gli stranieri sono davvero delle risorse perché la loro presenza puntella l’economia di questo paese e a dirlo è la matematica. E anche “ha stato Putin” è un tentativo di sarcasmo che non funziona. Il motivo è semplice: spesso ha stato davvero Vladimir Putin. 

 

Giovedì 17 marzo la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, è andata davanti alle telecamere dei giornalisti moscoviti per dire che “la Russia non bombarda le città ucraine e a dispetto dei video finti della Nato tutti sapranno la verità”. Lo ha detto mentre l’esercito russo bombardava Mariupol, Kharkiv, Kyiv e altre città ucraine. Zakharova occupa quel ruolo da anni, come del resto fanno molti altri attorno al presidente russo: non c’è ricambio al vertice, chi è rodato e affidabile rimane le facce sono sempre le stesse. 
 

Questa linea ufficiale che ignora la realtà in modo deliberato porta alla mente la prima grande bugia di Putin, la menzogna primigenia che ha impostato tutto quello che è seguito: il caso del sommergibile Kursk. Nell’agosto 2000 la marina russa organizza la prima grande esercitazione in mare dopo il crollo dell’Unione sovietica, per segnalare che si affacciava di nuovo sulla scena mondiale. Circa trenta fra sottomarini e navi da guerra che dovevano coordinarsi fra loro e fra questi il sottomarino atomico Kursk, lungo come due aerei di linea messi uno in fila all’altro e con 118 uomini di equipaggio. Alle dieci del mattino dell’11 agosto mentre alcuni marinai caricano un siluro da esercitazione il propellente del siluro s’incendia per un’avaria e nel giro di due minuti le fiamme fanno scoppiare le testate – vere, cariche di esplosivo – di altri sei siluri. Le navi in superficie sentono le esplosioni, ma non comincia alcuna operazione di soccorso. Il sottomarino si adagia sul fondo del mare con alcuni superstiti. Nella notte un sottomarino mandato a indagare filma il Kursk e i danni. Ma il giorno dopo  il comandante della Marina in un comunicato ufficiale festeggia l’esercitazione e dice che è stata “un successo perfetto”. Il presidente Putin va in vacanza. La notizia comincia a circolare, ma non c’è alcuna conferma ufficiale. Passano i giorni, il governo russo ammette che c’è stato un problema ma rifiuta l’aiuto internazionale, non vuole che qualche straniero si avvicini e soccorra il sottomarino isolato. A bordo a quel punto sono morti tutti, ma il fatto che non ci sia stato nemmeno un tentativo di salvataggio in tempo utile e che le informazioni siano state negate così a lungo fa infuriare l’opinione pubblica.

 

Fa impressione andare a rileggere la cronaca di quei giorni. Due parlamentari in particolare hanno cominciato per primi a chiedere la verità sul Kursk e uno è Boris Nemcov, che quindici anni dopo sarà assassinato a pistolettate nella schiena vicino al Cremlino. Un’altra protagonista di quella campagna è la radio Eco di Mosca, che è stata chiusa il 3 marzo di quest’anno perché considerata poco allineata. Putin appare in alcune immagini pubbliche, ma non è vestito a lutto mentre il paese piange la morte dei marinai intrappolati in fondo al mare. Due settimane dopo incontra alcuni parenti a porte chiuse, ma un filmato non autorizzato riesce a diventare pubblico. Si vede una madre che protesta, viene sedata e portata via. Boris Kuznetsov, l’avvocato delle famiglie di cinquantacinque marinai, dice che quel giorno fu il peggiore della vita di Putin e che da allora cominciò la sua stretta sui media e sul resto. “Non vuole finire mai più in una situazione così”, dice a Radio Free Europe dal suo esilio per motivi di sicurezza negli Stati Uniti. La prima grande esercitazione navale della Russia dopo l’Unione sovietica doveva lanciare un messaggio ovvio, siamo tornati a essere una potenza, invece suona come un ritorno all’opacità dell’era precedente. I disastri non si discutono in pubblico, sono coperti dal segreto. Ventidue anni più tardi, la struttura putinista è assai più solida e ha un controllo molto più stretto sul paese. E il ministero degli Esteri può permettersi di negare che in Ucraina ci sia una guerra. Persino la parola è vietata.  

A proposito di negazionismo. Il governo russo sostiene di non colpire obiettivi civili in Ucraina e questo ci porta a due giorni specifici, il 5 e 6 maggio 2019, in Siria. Non che siano casi unici, per nulla, ma sono interessanti. Quattro anni prima Vladimir Putin aveva deciso di intervenire al fianco del presidente siriano Bashar el Assad. Si dice che al presidente russo piaccia molto il micromanaging della guerra. Nel senso che non è distaccato e non delega ai generali, vuole sapere tutto fin nel dettaglio e prendere decisioni che di solito sono lasciate ai militari – ed è probabile che stia facendo lo stesso anche in queste settimane di guerra in Ucraina. L’operazione in Siria divenne un classico del putinismo. Fu preceduta da una smentita ufficiale del suo portavoce, Dmitri Peskov, che fino a due giorni prima chiese ai media internazionali di smetterla con le “speculazioni che non hanno nulla a che vedere con la realtà” su un imminente intervento russo in Siria. Fu un’operazione relativamente poco costosa e a rischio contenuto.

 

Putin inviò circa quaranta tra elicotteri e aerei – abbastanza da rovesciare l’andamento della guerra civile a favore di Assad, ma non molti – e lasciò agli  altri i combattimenti a terra per non perdere soldati e non turbare l’opinione pubblica a casa. Inoltre fin dai primi giorni i russi decisero di etichettare qualsiasi obiettivo bombardato come “base dello Stato islamico”, anche se molti raid prendevano di mira regioni che erano a centinaia di chilometri dai territori controllati dallo Stato islamico. Ma per il loro dominio naturale nel campo della propaganda, i russi sapevano che far credere all’audience globale che tutte le bombe fossero dirette contro lo Stato islamico era facilissimo. Era sufficiente dirlo. Il ministero della Difesa russo caricava su YouTube i video dei raid e scriveva: “Colpita una base dello Stato islamico”. Acceleriamo al maggio 2019.

 

Ormai lo Stato islamico come entità territoriale è stato distrutto tre mesi prima – in un’altra parte della Siria, dal tandem americani più curdi – e la gente è satura di sentir parlare della guerra civile siriana. Non presta più attenzione (e chissà che presto non accada lo stesso con il conflitto in Ucraina). Nel nord del paese la grande  regione di Idlib non è ancora finita sotto il controllo degli assadisti e dei russi ed è difesa da un assortimento di gruppi ribelli dominato da islamisti. E’ diventata il centro di raccolta a cielo aperto di milioni di sfollati, che non vogliono vivere nei territori del regime e non sono riusciti a fuggire all’estero. Questi sfollati hanno bisogno di ospedali e cliniche. Per garantire che questi luoghi dove sono curati i civili non siano presi di mira dai bombardieri, viene stilata una lista di siti con le loro coordinate esatte e viene consegnata alle Nazioni Unite, che la girano a Mosca. L’idea è semplice: nell’orrore della guerra, almeno risparmiare gli ospedali. Tra maggio e settembre, però, gli aerei russi prendono di mira cinquantaquattro ospedali.

 

Gli audio delle comunicazioni radio fra piloti, entrati in possesso del New York Times, permettono di escludere che si tratti di errori, sono bersagli selezionati in modo deliberato. La controidea dei russi è altrettanto semplice: se colpisci con le bombe gli ospedali, il territorio si svuota dei civili e i guerriglieri non hanno più una popolazione alle spalle, non hanno più una struttura, restano da soli e senza nemmeno la possibilità di curare i feriti. Di questi cinquantaquattro ospedali colpiti, sette sono sulla lista consegnata alle Nazioni Unite. Gli staff medici cominciano a sospettare che la lista con le coordinate sia diventata una lista dei luoghi da bombardare. Tra il 5 e il 6 maggio 2019, i bombardieri russi nel giro di dodici ore colpiscono quattro ospedali. Tutti e quattro sono sulla lista dei siti da non bombardare. Esiste la registrazione di un controllore da terra russo che fornisce e conferma le coordinate dell’ospedale Nabad al Hayat – cinquecento operazioni chirurgiche e cinquemila pazienti trattati al mese – e del pilota che a sua volta conferma e sgancia le bombe.

 

Questa storia non è sepolta in un rapporto militare confidenziale, è stata pubblicata nell’ottobre di tre anni fa sul New York Times, una delle piattaforme media più lette al mondo, ma è come se non fosse mai arrivata al pubblico. Che siano stati episodi come questi a rafforzare il senso di impunità di Mosca? Nel frattempo tutto continua a filare liscio per Putin. Nel 2014 occupa la Crimea e da allora gli acquisti di gas russo dall’Italia aumentano. Nella primavera 2019 usa la lista degli ospedali da proteggere in Siria come una lista di siti da bombardare e a luglio viene in visita in Vaticano a incontrare il Papa. Diciamo che non ci sono incentivi forti alla sua moderazione.

 

A un certo punto va anche forte l’immagine di Putin come baluardo dell’occidente contro l’islam estremista. E’ una finzione che può essere accettata soltanto da chi non è al corrente di quello che succede nel mondo. Il presidente russo è il grande sponsor di Ramzan Kadyrov, il despota della Cecenia che oggi è un paese fondamenalista. Quando due attentatori di al Qaida sterminano la redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo, nella capitale cecena si tiene una manifestazione enorme appoggiata dal governo, da un milione di persone, e contro Charlie Hebdo. Che in questi giorni gli uomini di Kadyrov siano in Ucraina a combattere per Putin è un caso classico di manipolazione da parte dei putinisti. Se gli stessi ceceni combattessero contro i soldati russi sarebbero già stati etichettati come bande di al Qaida. Già che stiamo correggendo questa storia, è il momento giusto per ricordare che questi ceceni che si vantano molto della loro fierezza sul campo di battaglia non sono più gli stessi delle guerre contro i russi negli anni Novanta. In molti casi non hanno esperienze dirette di guerre. Che siano all’altezza della loro fama terribile è ancora da dimostrare, il resto è pubblicità della propaganda russa che trent’anni fa trattava i loro padri come feccia da eliminare. “Li sgozzeremo nei cessi”, disse Putin in persona, quando la Cecenia era ancora uno stato ribelle. 

 

Il 17 luglio 2014 un sistema missilistico russo su cingoli, un Buk, varca il confine fra Russia e Ucraina ed entra nel Donbas. Fa parte dell’appoggio militare indispensabile che i russi forniscono ai separatisti per evitare che perdano contro i soldati del governo centrale di Kyiv. Qualche giorno prima un aereo da trasporto ucraino carico di soldati è stato abbattuto mentre volava verso il fronte. Il Buk punta un altro aereo e spara un missile che sale ad alta quota e poco prima di intercettare il bersaglio esplode in mille pezzi. Gli ingegneri militari lo hanno progettato così, esplode prima del contatto e investe con una rosa allargata di pallettoni e schegge la cabina e la carlinga – come un colpo di lupara contro un giocattolo. Igor Girkin, un comandante separatista, gongola sui social: “Vi avevamo avvertito, non volate nei nostri cieli”. I media russi lanciano la notizia dell’abbattimento di un velivolo militare ucraino. L’aereo che precipita in più tronconi sui campi del Donbas però non è un cargo del governo di Kiev, è il volo MH17 partito da Amsterdam con 298 passeggeri a bordo. Il governo russo sostiene che le accuse sono senza fondamento e lancia una campagna per non assumersi la responsabilità dell’abbattimento.

 

La modalità è: negare tutto, anche l’evidenza. Il ministero della Difesa russo per scagionarsi presenta anche foto satellitari contraffatte, che sono però smascherate. Ed ecco la lista delle versioni proposte dalla disinformazia russa in ordine cronologico tra il luglio 2014 e il luglio 2019 come raccolta dal sito Eu vs disinfo, specializzato nel classificare i tentativi di disinformazione. Come si può notare, i temi falsi s’inseguono, si contraddicono, montano a ondate, diventano più forti o più deboli e spariscono e poi ritornano. Per facilità qui ogni riga corrisponde a un mese diverso, da leggere tutto d’un fiato:  l’aereo abbattuto era pieno di cadaveri, il vero bersaglio era l’aereo di Putin, il volo Mh17 è stato abbattuto dall’Ucraina per ordine degli Stati Uniti; il Boeing abbattuto potrebbe essere finto oppure l’aereo potrebbe essere quello scomparso a marzo; il piano vero era uccidere Putin; il Boeing è esploso dall’interno; l’abbattimento è stato un’operazione politico-militare, gli investigatori olandesi stanno distruggendo le prove; l’MH17 è stato abbattuto da un jet, c’è un testimone segreto e dice che è stato abbattuto da un pilota ucraino; l’abbattimento del volo MH17 è stato un’operazione speciale per dare la colpa alla Russia; gli Stati Uniti stanno nascondendo la verità; è stato abbattuto da un missile Buk per davvero, ma ucraino; un caccia Su-25 è coinvolto nell’abbattimento; un caccia ha abbattuto l’aereo, l’indagine olandese copre i fatti; è esplosa una bomba dentro l’aereo; il volo MH17 è stato abbattuto dalla Cia; l’MH17 è stato abbattuto da un missile Buk che era nel territorio controllato dai soldati di Kyiv; l’Ucraina nascose i dati radar dopo il disastro; non ci sono prove contro la Russia; i malesi (il volo era diretto in Malaysia) sanno che è stato il presidente ucraino ad abbattere l’aereo; un caccia americano ha abbattuto il volo;Washington ha bloccato l’inchiesta; Poroshenko (il presidente ucraino) rifiuta di trasmettere dati importanti agli investigatori olandesi;Il Boeing è stato distrutto da un missile israeliano Python; i testimoni d’accusa sono stati corrotti, la verità non sarà mai scoperta;
le prove d’accusa sono state falsificate usando Photoshop; l’intelligence olandese sostiene che l’aereo potrebbe essere stato abbattuto dall’Ucraina; l’Ucraina ha diffuso un video falso del sistema missilistico russo che varcava il confine; l’abbattimento è stato pianificato dalla Cia e dal regime di Kyiv; Kyiv ha pianificato l’abbattimento;  l’occidente ignora le prove fornite dalla Russia, i militari ucraini hanno abbattuto l’MH17 e un aereo passeggeri in volo sopra la Crimea; i servizi segreti ucraini hanno distrutto le prove, gli investigatori olandesi hanno esaminato un missile Buk dalla Georgia; ci sono nuove prove che il volo è stato abbattuto dall’Ucraina; Kyiv pianifica un altro abbattimento; la recente esplosione di un deposito di munizioni in Ucraina fa parte di un piano per nascondere prove relative all’abbattimento del volo MH17; Russia Today è considerata dall’audience globale come la fonte d’informazione più attendibile sul caso Mh17, l’Ucraina ha mandato il volo in zona di guerra deliberatamente; soltanto l’Ucraina aveva sistemi Buk funzionanti quel giorno in quella zona; accusare la Russia dell’abbattimento è un piano per rovinare i mondiali di calcio; un controllore di volo è responsabile per il disastro, il caso MH17 è una provocazione pianificata; un missile sarebbe stato visibile sui radar russi; l’indagine olandese è illegittima secondo la legge internazionale; gli investigatori olandesi hanno scoperto Kyiv a mentire; l’Unione europea e l’Ucraina cospirano per nascondere la verità; le accuse olandesi alla Russia sono prive di fondamento; gli Stati Uniti sono implicati nei disastri del volo 370 (quello sparito nel nulla) e del volo MH17 la Corte europea dei diritti dell’uomo insabbia la colpa dell’Ucraina; la Russia non ha mai spostato sistemi missilistici oltre il confine; l’inchiesta olandese nasconde prove importanti; quel sistema Buk in effetti era in Ucraina, ma risale al periodo sovietico; l’Unione europea ha colpito con sanzioni la Russia dopo la provocazione ordita dall’Ucraina.

 

Passano cinque anni così. La tecnica ormai è così conosciuta che forse non vale la pena citarla: seminare dubbi su tutto con una moltitudine di versioni fino a quando la gente non riuscirà più a distinguere il vero dal falso e perde interesse a stabilire la verità. E’ una specialità dell’apparato di propaganda del Cremlino. Tuttavia nel 2019 la commissione d’inchiesta internazionale guidata dagli olandesi ha stabilito che il volo MH17 è stato abbattuto da un sistema missilistico Buk arrivato nel Donbas da una base militare russa a poca distanza dal confine ucraino e che il governo russo ha tentato di deviare le indagini. 


Anche gli errori grossolani fanno parte del putinismo e sono da mettere in conto, come vediamo in questi giorni in Ucraina. Nel 2018 succede una cosa straordinaria. Un sito fondato da amatori che si occupa di giornalismo investigativo, Bellingcat, riesce a dare un nome e un volto alla squadra di sicari dell’intelligence militare russa mandata a uccidere un disertore nel Regno Unito, a Salisbury, vicino Londra. L’operazione era stata un fallimento perché non era riuscita nell’intento, che era quello di eliminare Sergei Skripal, una spia dei servizi russi passata all’occidente e ormai in pensione. Eppure i sicari avevano usato un veleno potente: il novichok, un agente nervino prodotto in laboratorio che uccide anche con il semplice contatto attraverso la pelle. I due operativi russi avevano spruzzato il novichok sulla maniglia della porta di casa di Skripal da un finto flaconcino di profumo e poi si erano dileguati. L’uomo e sua figlia si erano sentiti male ed erano finiti in coma, ma erano stati curati in tempo. I servizi inglesi esaminano le immagini delle telecamere nella zona e trovano le immagini dei due sicari che camminano zainetti in spalla, da e verso la stazione del treno.

Bellingcat confronta le immagini con alcuni database che acquista da siti russi e trova i loro nomi e i loro passaporti. I ricercatori del sito sfruttano una debolezza estrema del sistema russo: quasi qualsiasi cosa è in vendita per poche centinaia di euro. Liste dei passeggeri sui voli. Foto dei passaporti. Foto delle patenti. Liste di indirizzi. Liste di proprietari di auto. Trovano che i due uomini sono Anatoliy Chepiga, un colonnello dell’intelligence militare russa, e Alexander Mishkin, della stessa unità. Trovano i loro documenti veri, i loro documenti falsi e cominciano a trovare anche i documenti dei loro colleghi dell’intelligence militare. Chepiga e Mishkin tra le altre cose sono stati premiati con una medaglia da Putin per le loro azioni durante l’annessione della Crimea nel 2014. Tre mesi dopo il tentato avvelenamento di Skripal, un uomo trova il finto flaconcino di profumo usato (e gettato) dai due e lo passa a una donna inglese, Dawn Sturgess, che lo prova sul suo polso e muore. 

In generale, la scoperta dei nomi reali dei due killer e delle loro unità è come vedere il crollo di un monumento: le squadre di sicari dei servizi russi si sono fatte cogliere in flagrante e tutti i loro dati sono esposti in queste liste di dati in vendita online, alla mercé degli esaminatori che vogliano fare lavoro investigativo. Se cerchi bene puoi ottenere risultati. E’ possibile che i servizi occidentali sfruttassero le stesse liste, ma senza pubblicare i risultati – del resto perché svelare il punto debole agli avversari? E’ con lo stesso procedimento che due anni dopo il team investigativo di Bellingcat scopre che un gruppo di avvelenatori dei servizi russi seguiva Alexei Navalny, il volto più famoso dell’opposizione russa, in tutti i suoi voli e i suoi spostamenti in Russia ed era nello stesso hotel quando è stato avvelenato. Navalny si salva soltanto perché il suo staff lo sposta mentre è in coma in Germania in un ospedale di Berlino. Il governo russo non può opporsi per non rivelare il suo ruolo, ma Navalny arriva in barella e nudo, perchè i russi non lo fanno espatriare con i suoi vestiti. Le analisi in seguito trovano che gli operativi che lo seguivano erano entrati nella sua stanza d’albergo e avevano spruzzato una quantità letale di novichok nelle sue mutande. Navalny poi è uscito dal coma e ha voluto tornare in Russia, come atto di testimonianza politica. In questo momento è in un carcere duro, aspetta l’esito del processo e rischia tredici anni di prigione. Ha stato Putin non fa più così ridere, tutto sommato. L’idea che il lato dark del presidente russo sia l’unico suo lato o perlomeno quello che conta davvero comincia a diventare nozione diffusa. A marzo 2021 un intervistatore chiede al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, se pensa che Putin sia un killer. “Sì”, risponde lui. Mosca richiama in patria l’ambasciatore a Washington.

 

Ha stato Putin era nata come espressione sarcastica per scagionare il presidente russo dalle sue presunte colpe, che spesso gli sono imputate da commentatori occidentali etichettati come isterici o in malafede. Diventa una chiave per interpretare in modo corretto la campagna aggressiva da parte della Russia per esercitare influenza nel mondo a dispetto di un pil modesto e di risorse che da trent’anni non sono più quelle dell’Unione sovietica. Ci sono contatti tra l’intelligence russa e gli attivisti catalani che vogliono separare la loro regione dal resto della Spagna. C’è l’intelligence russa che ruba le mail del Partito democratico durante la campagna elettorale del 2016 e le riversa online per aiutare il candidato Donald Trump (si crede, erroneamente, che la commissione d’inchiesta non abbia trovato prove ma la commissione in realtà ha incriminato dodici agenti dei servizi russi per aver violato le mail. Quello che non ha trovato è la prova solida che Trump fosse a conoscenza di questa operazione russa a suo favore). C’è la compagnia di mercenari russi Wagner che appare in Libia durante la guerra civile per appoggiare il generale Haftar – contro gli interessi dell’Italia che invece sostiene una soluzione politica pacifica. C’è la Wagner che appare anche in Mali a fianco del governo golpista, in Congo e in Mozambico, come strumento del potere di Mosca. Strano no? Da mesi si parla di un presunto diritto della Russia a reagire alle presunte “provocazioni”, ma le mosse russe non sono da considerare provocatorie.
 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)