Boris Johnson in visita in Arabia Saudita ieri per chiedere un aumento della produzione di petrolio (foto LaPresse)

I leader del medio oriente dicono all'occidente: sappiamo che avete bisogno di noi

Luca Gambardella

I giochi per il petrolio nel Golfo ed Erdogan che tratta con tutti. Così stiamo sviluppando "nuove dipendenze" alternative a Putin

Pane e petrolio. Nel nuovo mondo plasmato dall’aggressione russa in Ucraina, sono ancora una volta queste le variabili che ridisegnano gli equilibri in medio oriente. Qui la guerra di Vladimir Putin minaccia paesi fragili. “I prezzi del grano hanno già superato quelli degli anni delle primavere arabe”, ha avvertito lunedì il segretario generale dell’Onu António Guterres. Allora il grido per le strade era “pane e dignità” e oggi si teme che quella stessa rabbia sociale monti di nuovo in paesi già provati dall’inflazione – come Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto – e in alcuni casi anche dalla guerra, come Siria e Yemen. In Libano, con oltre il 90 per cento di grano e olio per cucinare proveniente dal Mar Nero e con l’80 per cento della popolazione  al di sotto della soglia di povertà, le forniture di grano non dureranno ancora a lungo. Nonostante ci siano tutti i presupposti per temere una nuova destabilizzazione dal basso, ieri il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e l’omologo emiratino Abdullah bin Zayed si abbracciavano sorridenti al termine di un vertice a Mosca. I due hanno parlato di tutto – tranne che di Ucraina, secondo la nota ufficiale – e gli Emirati hanno promesso a Mosca cooperazione economica dopo che la settimana scorsa avevano garantito la stessa cosa agli americani. Poche ore prima del loro incontro in Russia, il premier britannico Boris Johnson era sbarcato proprio a Dubai per chiedere agli sceicchi di aumentare la produzione del petrolio e fare scendere i prezzi. Stessa richiesta fatta subito dopo in Arabia Saudita. Alla fine Johnson è tornato a Londra a mani vuote. E’ questo il nuovo gioco al rialzo di Riad e Dubai, che dicono all’occidente: dopo anni di accuse sulla guerra in Yemen e sui diritti umani, adesso tornate a chiederci aiuto per il greggio. Va bene, ma alle nostre condizioni. 

 

La guerra in Ucraina sembra avere mescolato i ruoli: chi fino a ieri consideravamo “cattivo” ora cerca di dare all’occidente un’immagine di sé più moderata, equidistante dagli schieramenti della guerra in Ucraina. E’ così che l’Iran è diventato il nodo cruciale per riportare un po’ di  stabilità sia per i prezzi del petrolio sia per la sicurezza della regione. La liberazione di due prigionieri britannici di due giorni fa sembra preludere a una svolta sull’accordo finale sul nucleare e per il ritorno sul mercato del greggio iraniano. Ieri però l’Onu ha ricordato a tutti che Teheran ha già arricchito abbastanza uranio da potersi dotare a breve dell’arma atomica e che fidarsi degli ayatollah, ieri come oggi, è un azzardo.  

 
    
Ma in questa “metamorfosi dei cattivi”, in cui tutte le strade della diplomazia sembrano condurre in medio oriente, è la Turchia ad avere il ruolo di primo piano. Ieri, il ministro degli Esteri Mevlüt Çavusoglu ha ribadito che sarebbe “felice di ospitare un vertice” fra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky se le condizioni lo permetteranno.  I turchi hanno fatto incontrare ad Antalya i ministri degli Esteri di Russia e Ucraina  e contendono agli israeliani  il ruolo di “negoziatore preferito” da Zelensky e Putin. La nuova distensione turca inaugurata da Recep Tayyip Erdogan ha portato a una storica visita in Turchia proprio del presidente israeliano Isaac Herzog – erano 14 anni che i due paesi non tenevano un incontro di vertice.  Erdogan ha incontrato anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, aprendo a un  dialogo non pronosticabile fino a poche settimane fa a proposito delle rispettive rivendicazioni nel Mediterraneo orientale. E sempre ad Antalya, Çavusoglu ha stretto la mano al premier armeno, con cui da anni ha aperto il capitolo del Nagorno-Karabakh. 

 

Illudersi però sarebbe un errore. Erdogan è sempre Erdogan, leader di un sistema di potere autoritario. Il suo bisogno disperato di investimenti esteri e l’indebolimento della Russia nella regione lo hanno semplicemente spinto a unirsi al gioco di tutti gli altri: rendersi indispensabili e trovare finalmente legittimazione dall’occidente. Europa e Stati Uniti sanno che è semplice maquillage, che non possono fidarsi davvero di chi fino a ieri definivano canaglie o dittatori. Ma in tempo di guerra hanno bisogno di loro.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.