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Quanto può far male a Putin&co la santa alleanza tra stati e brand

Claudio Cerasa

Benessere a servizio non dell’egoismo ma della democrazia: la gran lezione di libertà che gli stati e le multinazionali stanno dando al presidente russo

La scommessa culturale che si trova alla base dell’aggressione in Ucraina promossa da Vladimir Putin a colpi di razzi, bombe e mortai è che, alla fine dei conti, il miglior alleato della sua Grande Russia prima o poi coinciderà con la volontà da parte dell’occidente di non mettere a rischio il proprio benessere, le proprie industrie e i propri affari per proteggere un paese che fino a qualche settimana fa molti cittadini appartenenti ai paesi alleati dell’Ucraina neppure avrebbero saputo indicare su una mappa geografica. La visione putiniana, ha ricordato ieri il Guardian, tende a rappresentare l’occidente come un’entità molle, flaccida, morente e decadente, incapace non solo di combattere con virilità un conflitto bellico ma anche di sopportare una qualsiasi forma di sacrificio economico. Quello che però Putin sembra aver gravemente sottovalutato al momento dell’aggressione dell’Ucraina non riguarda solo la capacità di resistenza del paese invaso. Riguarda qualcosa ancora di più importante che costituisce il vero arsenale extra militare messo in campo dall’occidente di fronte agli occhi dei nemici della democrazia e della libertà: la capacità da parte delle società aperte di trasformare ciò che gli illiberali considerano un punto di debolezza in uno straordinario punto di forza.

Nel caso specifico, ciò che sta contribuendo a far galoppare la Russia verso uno scenario di default immediato non sono soltanto le sanzioni dirette approvate dall’Unione europea, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, ma sono anche le sanzioni per così dire indirette messe in campo da tutte quelle aziende che pur non avendo alcun obbligo formale hanno deciso di stare dalla parte giusta della storia interrompendo con effetto immediato ogni rapporto con la Russia dell’aggressore. E ad aver sospeso ogni operazione, ogni investimento, ogni attività lavorativa sono stati finora le seguenti aziende, magnificamente messe in fila ieri dal sito Axios. Sono scappati dalla Russia Yum Brands, la società madre di KFC e Pizza Hut, McDonald’s, Starbucks, Coca Cola, Deloitte, Ernst & Young, Pricewaterhouse Coopers, KPMG, Estée Lauder, Boeing (che come Airbus ha sospeso ogni operazione a supporto della manutenzione tecnica delle compagnie aeree russe).

Shell ha tagliato ogni legame con Gazprom. British Petroleum ha avviato le pratiche per cedere la sua partecipazione nel colosso petrolifero russo Rosneft. Exxon Mobil ha abbandonato le operazioni in Russia. General Motors, Ford, Bmw, Volvo, Renault, Daimler, Audi, Harley-Davidson hanno sospeso ogni esportazione di veicoli in Russia. Adidas ha sospeso la sua partnership con la Federcalcio russa. Nike ha interrotto la vendita online di prodotti in Russia. FedEx e Ups hanno sospeso le spedizioni, come Yoox e Farfetch. Apple ha sospeso ogni attività. Lo stesso Ericsson. Dell. Ikea. Airbnb. Google. Hermes. Amazon non accetta più pagamenti dalla Russia. Lo stesso hanno fatto Visa, MasterCard e American Express. E lo stesso ha fatto Microsoft, che ha sospeso le vendite di prodotti anche se non ha interrotto il suo rapporto di collaborazione con il governo russo.

Il tentativo della Russia di disegnare un nuovo ordine del mondo attraverso l’aggressione militare in Ucraina sul breve periodo potrebbe consegnare a Putin qualche risultato sul campo e non c’è dubbio che per l’occidente libero la sola prospettiva di poter concedere alla Russia ciò che la Russia ha conquistato con la forza non rappresenterebbe un precedente incoraggiante. Ma allo stesso tempo, l’aggressione di Putin ha permesso all’occidente libero di costruire un’alleanza strategica tra stati nazionali e grandi multinazionali. Un’alleanza capace di superare i confini della politica per dimostrare ciò che fino a qualche settimana fa sembrava difficile affermare: non chiudere gli occhi di fronte ai nemici della libertà e fare della difesa del nostro benessere un’arma per difendere non il nostro egoismo ma la nostra democrazia.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.