Arrivano i jet polacchi, non rassegniamoci

Biden annuncia l'embargo del petrolio russo. Le conseguenze insidiose e il messaggio a Putin

Paola Peduzzi

Stiamo costruendo un mondo nuovo in cui la Russia è isolata, ma è evidentemente pieno di ostacoli. Il presidente russo confida nel fatto che la determinazione occidentale sia temporanea

Joe Biden ha annunciato l’embargo del petrolio e del gas russi, aprendo così la seconda fase delle reazioni occidentali alla guerra unprovoked and unjustified, cioè immotivata, di Vladimir Putin in Ucraina. La decisione del presidente americano è piena di conseguenze: ci sarà un aumento del prezzo del gas, da cui dipende la sostenibilità energetica dell’Europa (che è come dire: paghiamo anche noi per questo embargo); ci sarà un aumento dei prezzi generale in una crisi inflazionistica già pronunciata; si attiverà un sistema di compensazione delle risorse che passa, come stiamo già vedendo, anche dal Venezuela e dall’Iran, con quel che implica fare affari con un regime che affama il suo popolo e con un altro che oltre ad affamare il suo popolo ambisce a dotarsi di un’arma atomica: stiamo costruendo un mondo nuovo in cui la Russia è isolata, ma è evidentemente pieno di insidie, come sappiamo bene noi europei che siamo alle prese con la diversificazione dell’approvvigionamento energetico nel Mediterraneo. Biden paga anche un prezzo politico interno, in questa fase politica in cui si è dedicato alla ristrutturazione dello stato sociale americano. Costa tutto tantissimo, a tutti.     

 

La decisione di Biden è arrivata in un momento in cui si iniziava a disperare, ché il soffocamento economico della Russia è un progetto a lungo termine e invece la guerra è qui e adesso e questa discrepanza temporale va tutta a vantaggio di chi ha schierato per primo l’esercito, cioè di Putin. Washington non vuole utilizzare l’arma militare, o meglio la usa – sostiene la resistenza di Kyiv con armi e intelligence – ma non in modo diretto, come invece vorrebbe il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Martedì un gruppo di esperti e di funzionari dell’establishment di politica estera americano ha scritto a Biden chiedendo una no fly zone limitata. I firmatari, circa una ventina guidati da Robert McConnell, cofondatore della Us-Ukraine Foundation, dicono che è necessario proteggere i corridoi umanitari dagli attacchi aerei dell’aviazione russa: in quelle parti, la sicurezza dei cieli deve essere garantita. Non ovunque, ma lì sì. Il problema di questa no fly zone limitata e a scopo umanitario è però uguale a quello della no fly zone completa: se i russi invadono quello spazio aereo pur parziale, i mezzi della Nato o dell’America devono difendersi e quindi abbattere gli aerei di Putin. E’ quello che Biden e tutti i suoi alleati vogliono assolutamente evitare, perché non vogliono che il presidente russo possa sia trasformarsi nell’eroe che resiste all’aggressione occidentale sia passare all’utilizzo di armi non convenzionali. Ma, dice Biden, “Putin non otterrà quello che vuole”, e l’America fornirà altri aerei, via Polonia, che finalmente ha dato il suo assenso, a Kyiv.

 

Zelensky, che diventa ogni giorno più insofferente ai no che riceve come risposta, dice: i civili continuano a essere attaccati e uccisi in ogni caso. Ed è qui, in questo scempio immotivato partito il 24 febbraio, che i paesi occidentali, per quanto agguerriti dal punto di vista economico, non devono sbagliare il proprio calcolo né cedere alla rassegnazione. L’errore più evidente è quello di abituarsi alla guerra. Circolava nei giorni scorsi il video di un bambino ucraino con un giaccone colorato: in una mano ha un sacchetto di plastica che si trascina, nell’altra una tavoletta di cioccolato. Cammina da solo verso il confine polacco, e piange disperato. E’ una delle testimonianze più strazianti delle tante che ci arrivano dall’Ucraina e descrive che cos’è questa guerra unprovoked and unjustified: un paese che provava, con un fronte di ostilità a est e un pezzo di sud decurtato unilateralmente da Putin nel 2014, a vivere la propria normalità. Ora c’è una catastrofe umanitaria in corso, chi scappa, chi combatte, chi s’incammina piangendo verso un confine, ma nei toni delle cancellerie si riscontra  una certa rassegnazione, come se l’effetto choc di una guerra senza ragione si fosse già consumato. Putin contava sulle divisioni occidentali e ha sbagliato, ma conta ancora sulla nostra convinzione che questa fase sia temporanea, come la guerra. Non lo è.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi