Sul mare di Azov

Il fronte di Mariupol'

Micol Flammini

Nella città portuale del Donbass, con i russi alla porta, si dice che l’invasione di Mosca non arriverà 

C’è una città in Ucraina che per prima verrebbe a conoscere le intenzioni di Vladimir Putin, qualora il presidente russo decidesse di attaccare la nazione. E’ Mariupol’, la città portuale che si affaccia sul mare di Azov con le sue industrie,  due delle più grandi acciaierie d’Europa, il suo edificio del consiglio comunale che mostra ancora i segni delle esplosioni del 2015, oggi coperti da una grandissima bandiera blu e gialla, i colori dell’Ucraina. La città otto anni fa  è finita al centro degli scontri tra i separatisti filorussi sostenuti da Mosca e l’esercito di Kiev, ma oggi Mariupol’ è Ucraina, si sente Ucraina: poco importa se i suoi cittadini parlano russo, in questi anni hanno guardato a est, verso Donetsk e Lugansk, le due autoproclamatesi repubbliche popolari e hanno visto una prospettiva molto meno attraente rispetto all’ovest. A Mariupol’ non amano molto il governo di Kiev, ma amano ancora meno quello di Mosca. La città è nel Donbass, si trova a dieci chilometri dalla linea del fronte in cui i separatisti filorussi e l’esercito ucraino si scontrano, la guerra la sente vicina e nel 2014 l’ha vista arrivare. Per questo sarebbe la prima a sentire l’invasione, a subirne le conseguenze, ma le sue autorità dicono che non succederà. Il sindaco della città, Vadym Boychenko, ha detto al Financial Times che la guerra “si sta scatenando in tv e sui social”, ma lui non crede che ci sia un rischio imminente. E’ quello che credono anche le altre autorità ucraine, a cominciare dal presidente Volodymyr Zelensky che non fa che ripetere di stare calmi. I suoi inviti alla tranquillità, le sue smentite dei continui annunci su un’invasione  che arrivano dagli Stati Uniti hanno anche fatto innervosire la Casa Bianca. Diversi funzionari lo avrebbero definito fastidioso, irritante e controproducente. Ma il presidente ucraino  ripete quello che gli dicono l’intelligence e la Difesa che vogliono evitare il panico e sono convinti che la Russia non ha schierato forze necessarie a un’invasione su larga scala per conquistare l’Ucraina: è un bluff, dicono.

 

Washington e Kiev sembrano avere dati diversi, forse anche obiettivi diversi, sicuramente una prospettiva diversa della realtà: gli ucraini con la minaccia russa non hanno smesso di fare i conti da ormai otto anni, il rischio lo calcolano in modo differente, o forse è assuefazione. Per Mariupol’ più di chiunque altro. Nel 2014 venne presa dai separatisti, l’occupazione durò qualche mese, a giugno tornò nelle mani dell’Ucraina e una popolazione che non era mai stata antirussa, si ritrovò a non voler avere più nulla a che fare con Mosca. Quando poi nel 2018 il Cremlino inaugurò il ponte che collega la Russia alla Crimea e passa sullo stretto di Kerch, studiò le dimensioni giuste per colpire proprio Mariupol’: lo progettò di un’altezza inferiore a quella delle grandi navi mercantili che navigavano dai  porti  nel mar Nero al polo industriale, 35 metri, soltanto i cargo ucraini sono stati penalizzati. Mariupol’ è strategica, prima dello scoppio della guerra per il suo porto transitavano circa 15 miioni di tonnellate di merci all’anno, dalle sue banchine la regione del  Donbass esportava circa il 90 per cento dei suoi prodotti. L’attività economica non è più tornata come prima, con il tempo si è ripresa anche se il ponte ha reso tutto ancora più difficile. 

 

Se oggi le truppe russe disposte lungo il confine orientale dell’Ucraina nella zona di Rostov dovessero entrare nel Donbass, punterebbero sicuramente su Mariupol’. I motivi sono due: l’Ucraina verrebbe privata dell’accesso portuale al mare e attraverso la città i russi inizierebbero a  ritagliarsi un corridoio fino a Odessa. Per questo la città sarebbe la prima a vedere arrivare la guerra. Nel 2014, quando tornò a essere ucraina non ebbe comunque vita facile, l’anno seguente venne colpita da missili, l’intero quartiere orientale della città è stato distrutto. Centoventisei razzi hanno ucciso trenta civili e ne hanno feriti più di cento.  L’Ucraina è al centro di trattative tra la Russia e la Nato e gli Stati Uniti. I secondi mercoledì hanno detto a Mosca che le sue richieste sul ritiro dell’Alleanza atlantica non sono accettabili ma che vale la pena iniziare un percorso diplomatico assieme, che sia serio. La Russia ha risposto che non ci sono ragioni di ottimismo. Ma gli scambi diplomatici tra i due blocchi sono sempre più una partita a due in cui sembra che si siano dimenticati che il campo di battaglia è una nazione grande quasi quanto la Polonia e la Germania assieme. Di questo campo la porta d’accesso è Mariupol’. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.