Il Kazakistan per la Cina è una questione di gas

Pechino lascia stabilizzare la situazione alla Russia, ma guarda con molta attenzione (e ansia) alla crisi

Giulia Pompili

Dopo quasi due giorni di silenzio, si è scomodato perfino il leader Xi Jinping per mandare “un messaggio orale” al presidente kazako Tokayev pieno di riferimenti significativi. La reazione cinese alla crisi kazaka era  prevedibile: Pechino  finora aveva osservato l’evoluzione della situazione lasciando agire Mosca e le truppe del Csto, l’Organizzazione di cui Pechino non fa parte. Ma è difficile pensare che la seconda economia del mondo, che vuole ritagliarsi un ruolo egemone e di potenza responsabile internazionale, possa lasciare che il Csto protegga anche i suoi interessi strategici nel territorio kazako. 


Il presidente cinese ha detto ieri che il suo paese si “oppone  a quelle forze esterne che creano deliberatamente disordini e istigano alla rivoluzione”, e ha apprezzato le “misure decise” prese da Tokayev, cioè la repressione delle manifestazioni.


Sono esattamente le stesse parole che Xi  ha usato con il capo dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, dopo i disordini del 2019. Nel modello alternativo all’America che la Cina sta promuovendo, la democrazia è tutt’altra cosa rispetto alla “pseudodemocrazia destabilizzatrice” dei paesi occidentali, e l’uso della forza da parte dei governi è sempre giustificato se chi protesta mette a rischio la stabilità. Del resto, non c’è niente che il Partito comunista cinese voglia di più della stabilità. Non solo in casa, ma anche nei paesi più strategicamente alleati della Cina. 


Il Kazakistan è un partner molto forte di Pechino: è in un discorso pubblico ad Astana che nel 2013 il leader cinese fece il primo riferimento al progetto della Via della Seta, ed è con il Kazakistan che ebbe inizio. L’aspetto più importante dell’amicizia tra i due paesi riguarda il gas: quasi la metà delle esportazioni energetiche kazake finiscono in Cina, soprattutto attraverso il gasdotto Cina-Asia centrale, un’infrastruttura strategica fondamentale, vista anche la crisi energetica che negli ultimi mesi ha colpito il Dragone. Ieri diversi organi di stampa ufficiali cinesi facevano riferimento al fatto che “la situazione in Kazakistan avrà inevitabilmente un impatto sulla fornitura di petrolio e gas”, ma comunque minimizzavano: l’esportazione di energia verso la Cina è troppo importante per la sopravvivenza economica del Kazakistan, la crisi, se ci sarà, non durerà a lungo. Pechino sostiene la stabilità del governo di Tokayev ad Astana anche per questo, costi quel che costi, e come in altri paesi dell’Asia centrale non è detto che l’influenza politica della Cina – che negli ultimi dieci anni è cresciuta moltissimo  – non sia oggetto di competizione con Mosca. E non è detto che vada bene ai cittadini kazaki: nel settembre del 2019 ci furono diverse manifestazioni contro l’influenza cinese in Kazakistan, che è anche la casa di più di duecentomila uiguri, perseguitati in Cina. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.