Rivolta sul green

Il prezzo del gas mai così alto. La Polonia in prima linea contro il “Fit for 55”

David Carretta

Vestager addolcisce la pillola del Green deal, ma forse non basta. Perché la rivolta contro il meccanismo Ets parte dal governo nazionalista polacco, ma è appoggiata da diversi altri stati membri. Tutti a vario titolo scontenti perché la Germania ha disegnato le regole europee

Il primo giorno d’inverno dell’Unione europea ha fatto venire i brividi a operatori ed esperti del settore energetico. Il prezzo all’ingrosso del gas ha raggiunto livelli mai visti, dopo che si sono interrotte le forniture dalla Russia attraverso il gasdotto Yamal. I contratti Ttf olandesi, che servono da riferimento per il mercato dell’Ue, sono cresciuti di oltre il 20 per cento superando quota 182,5 euro per megawatt ora per le forniture a gennaio. Le tensioni geopolitiche attorno all’Ucraina, con Vladimir Putin che ha minacciato “misure militari-tecniche appropriate”, si riflettono sulla bolletta. Il presidente russo sta già usando l’arma energetica: Gazprom rispetta i contratti, ma rifiuta di rispondere a richieste aggiuntive di gas. La Commissione dice che la soluzione è il Green deal: ridurre la dipendenza dal gas russo, aumentando in modo massiccio le rinnovabili. Ma la grande crisi energetica dell’Ue sta alimentando la rivolta degli stati membri contro “Fit for 55”, il pacchetto di proposte della Commissione per realizzare gli obiettivi climatici. La Polonia è in prima fila, ma dietro c’è una maggioranza di paesi, compresa la Francia che dal primo gennaio avrà la presidenza di turno dell’Ue. 


Da quando la Commissione ha presentato “Fit for 55” a luglio, i negoziati tra i 27 non hanno fatto passi avanti significativi. Lunedì c’è stata l’ennesima riunione inconcludente dei ministri dell’Ambiente. Negli ultimi sei mesi, gli stati membri hanno continuato a chiedere chiarimenti e valutazioni di impatto alla Commissione per capire esattamente quali sono i costi del pacchetto. A complicare il negoziato è la struttura di “Fir for 55”, che è come un castello di carte per realizzare il taglio delle emissioni del 55 per cento entro il 2030: se si tolgono un paio di misure chiave, e non vengono compensate con una riduzione di CO2 in altri settori, la costruzione crolla. E c’è una misura che incontra più opposizione di tutte le altre: l’estensione del sistema di scambio di emissioni Ets agli immobili e al trasporto su strada. Il principio è “chi inquina paga”. Ma a pagare saranno famiglie e imprese, cioè gli elettori. Il sistema attuale, limitato ad alcuni settori, ha già un impatto sul prezzo dell’energia: le quote Ets hanno superato gli 80 euro a tonnellata di CO2 contro i 33 euro di inizio anno. La Polonia sta utilizzando la crisi della bolletta per rimettere in discussione tutto il sistema Ets, particolarmente penalizzante per chi (come le utility polacche) produce energia a carbone. A inizio dicembre il Parlamento di Varsavia ha votato una risoluzione per chiedere che sia sospeso. Al vertice dell’Ue di giovedì il premier Mateusz Morawiecki ha detto che il meccanismo Ets “non funziona”. Il ministro per l’Ambiente, Anna Moskwa, ha minacciato il veto contro “Fit for 55”.

 

Per il governo nazionalista polacco, il sistema Ets dell’Ue è un facile capro-espiatorio per scaricare su Bruxelles la decisione di aumentare le tariffe di gas e elettricità per i consumatori. Ma i timori per l’estensione degli Ets alle famiglie sono condivise da una maggioranza di stati membri. Al Consiglio Ambiente lunedì, Repubblica ceca e Cipro si sono detti contrari. Spagna, Belgio, Svezia, Irlanda, Lussemburgo, Lettonia, Lituania, Slovacchia e Malta hanno espresso preoccupazioni per i costi per le famiglie. La Francia, che piloterà i negoziati su “Fit for 55” nei prossimi sei mesi, lo aveva fatto nelle precedenti riunioni. Emmanuel Macron è consapevole dei rischi di una rivolta stile “gilet gialli”, che era stata innescata da un aumento minimo del prezzo dei carburanti per finanziare le politiche climatiche. La Francia sta anche rimettendo in discussione il mercato dell’energia dell’Ue e vuole disaccoppiare il prezzo dell’elettricità da quello del gas, ma incontra l’opposizione della Germania.

 

Il sistema Ets e la sua estensione a immobili e trasporti sono stati fortemente influenzati dalla Germania. Alcuni paesi ritengono che siano costruiti su misura alle esigenze della transizione climatica tedesca. Per salvare “Fit for 55” la Commissione sta correndo ai ripari con una serie di concessioni agli altri stati membri. Ieri Margrethe Vestager ha annunciato un allentamento senza precedenti delle regole sugli aiuti di stato per la transizione verde. “L’Europa avrà bisogno di una notevole quantità di investimenti sostenibili” e “il sostegno pubblico svolgerà un ruolo nell’assicurare che la svolta avvenga in modo rapido”, ha spiegato Vestager. La Commissione dovrebbe inserire il nucleare nella tassonomia, la classificazione degli investimenti considerati come sostenibili, come chiedono la Francia e i paesi dell’est. Ma il diavolo è nei dettagli e potrebbe non bastare. Come quello di Merkel, il nuovo governo Scholz ha un approccio nazionalista su energia e clima. Il 31 dicembre Berlino disattiverà tre reattori nucleari, nonostante la crisi dei prezzi e l’aumento delle emissioni per il ricorso al carbone. Il gas russo di Nord Stream 2 serve a compensare l’uscita anticipata dal carbone nel 2030, a prescindere dalle conseguenze per la sicurezza dell’Ue o dell’Ucraina. Berlino ha risorse sufficienti per investimenti in rinnovabili e compensazioni sociali. Una parte consistente dell’Ue si sta invece accorgendo che il costo di un Green deal alla tedesca è molto alto.