Quanto è difficile creare l'alleanza perfetta contro la Cina
Non solo Aukus. L'altra sigla che non piace a nessuno si chiama Quad. Si moltiplicano i club esclusivi, tutti in chiave anti-Pechino
Quando venerdì prossimo il dimissionario primo ministro giapponese Yoshihide Suga e il super nazionalista primo ministro indiano Narendra Modi arriveranno alla Casa Bianca per la prima riunione in presenza del Quad, il Quadrilateral Security dialogue, per loro sarà come “arrivare a una festa già finita”, commenta una fonte vicina al dipartimento di stato americano. Gli altri due membri del Quad, il premier australiano Scott Morrison e il capo del mondo libero, il presidente americano Joe Biden, nel giro di tre mesi, e senza coinvolgere nessuno tranne il Regno Unito di Boris Johnson, hanno già di fatto creato l’asse attorno a cui si muoveranno gli altri, che saranno soltanto gli invitati.
Dall’altra parte c’è la Cina. Che è al centro di ogni summit, di ogni riunione, di ogni telefonata. Nonostante l’Afghanistan e il ritorno della minaccia del fondamentalismo islamico, la Casa Bianca di Joe Biden sta proseguendo ciò che Donald Trump aveva iniziato, sebbene con i suoi metodi confusi e a volte perfino pericolosi. L’obiettivo, da tempo condiviso in modo bipartisan a Washington, è fare di Pechino e del suo contenimento la priorità della politica estera americana. I motivi sono sacrosanti: nel giro di pochi anni la Cina è riuscita a diventare potente e non solo economicamente; è influente, soprattutto nei paesi in via di sviluppo e ovunque l’America abbia fallito; non ha bisogno dei metodi americani, del soft power, perché offre una ricetta infallibile: voi ci dite sempre di sì, noi riscriviamo regole e definizioni del diritto internazionale e dei valori condivisi, e in questo modo voi siete sicuri che noi non interferiremo mai nei vostri affari interni. La Cina mette sanzioni contro i rappresentanti delle istituzioni occidentali, fa pressioni sugli organi di controllo sovranazionali (Banca mondiale, Oms), si appropria e militarizza intere aree di suo interesse strategico (il Mar cinese meridionale, i confini nell’area dell’Himalaya), crea campi di lavoro per eliminare le minoranze, usa la propaganda e la disinformazione, censura, viola i trattati (come nel caso dell’autonomia di Hong Kong), si avvale di un sistema giudiziario che risponde a criteri puramente politici (come nel caso dei due cittadini canadesi, Michael Kovrig e Michael Spavor, ancora in stato di arresto per “spionaggio”).
“Contenere la Cina”, per usare un’espressione molto popolare nei palazzi del potere americani, si può fare solo in un modo, dicono a Washington, e cioè rafforzando le alleanze statunitensi, soprattutto quelle del Pacifico. Ma l’accordo tra America, Regno Unito e Australia, e la conseguente ira francese, ha reso più evidente le difficoltà nella costruzione di questa alleanza anticinese. Ognuno ha i suoi problemi interni, le sue rivalità specifiche, e l’Amministrazione americana si è messa alla testa di questa alleanza “con un ritardo incredibile”, dice la fonte, “e usando la sfera commerciale come priorità”. Un’idea condivisa da più parti. Questo è ancora più evidente con il Quad. Che è una una vecchia piattaforma inventata dal governo giapponese nel 2007, poi rilanciata dall’America di Trump nel 2017 e infine rivitalizzata da Biden. Il dialogo sulla sicurezza coinvolge America, Australia, Giappone e India, le quattro potenze del cosiddetto Indo-Pacifico, e l’obiettivo è promuovere “un ordine libero e aperto basato sulle regole, radicato nel diritto internazionale per la sicurezza e la prosperità e per contrastare le minacce sia nell’Indo-Pacifico e altrove”. Ma già diversi media indiani hanno rilevato che il Quad, da quando c’è l’Aukus, risulta inutile o incentrato su quelle che vengono definite “questioni minori”: i vaccini, il cambiamento climatico, i microchip (molto probabilmente verrà annunciata una catena di approvvigionamento di sicurezza), ma di certo non ci saranno di mezzo sottomarini e la Difesa. Il Partito liberal democratico giapponese, chiunque lo guiderà dopo Suga, ci ha messo quasi dieci anni per ricostruire un rapporto diplomatico con Pechino, e non vuole fare passi falsi adesso, con il leader cinese Xi Jinping sempre più potente e meno disposto al dialogo e alla mediazione. Il “nuovo ordine mondiale di Biden”, scriveva ieri Tom McTague sull’Atlantic, si basa sul vecchio modello di alleanze militari dei paesi anglosassoni. Gli altri sono solo invitati: le decisioni si prendono altrove.
L'editoriale dell'elefantino