Il Pakistan vuole qualcosa dall'Afghanistan dei talebani

Giulia Pompili

Il governo di Islamabad, molto influente in passato, rischia di essere messo in ombra a Kabul. I giochi di potere con il Qatar e la paura dell'instabilità (e del terrorismo)

Capire chi sarà l’alleato più forte dei talebani in Afghanistan dopo la ritirata occidentale sarà fondamentale per sviluppare una strategia diplomatica: con chi parlare, su chi fare pressioni. Da giorni sui media internazionali si parla degli interessi di Russia e Cina nell’area, e in particolare del ruolo che svolgerà la seconda economia del mondo, che ha già iniziato a costruire un dialogo con i leader talebani. Ieri però, dalle pagine del New York Times, la capa del bureau di Pechino Jane Perlez faceva notare come il vero vincitore della guerra in Afghanistan potrebbe essere il Pakistan. “Pochi giorni dopo la presa di Kabul da parte dei talebani”, scrive Perlez, “la loro bandiera sventolava sopra una moschea nel centro della capitale del Pakistan. Un gesto sfacciato volto a fare un dispetto agli americani sconfitti. Ma è stato anche un segno dei veri vincitori di vent’anni di guerra afghana”. La posizione del Pakistan negli ultimi vent’anni è stata doppia: da un lato hanno ricevuto ingenti aiuti americani per appoggiare la guerra di Washington all’estremismo islamico, dall’altro “i talebani afghani che gli americani stavano combattendo sono, in gran parte, una creazione del servizio di intelligence pakistano, l’Isi, che durante la guerra ha protetto le risorse talebane in Pakistan”, scrive Perlez. Due giorni dopo la presa di Kabul da parte dei talebani, durante una cerimonia per lanciare la prima fase del curriculum nazionale unico nelle scuole del Pakistan, il primo ministro Imran Khan ha detto che i talebani in Afghanistan hanno “spezzato le catene della schiavitù”, in quello che è stato interpretato dagli analisti come un primo, vago endorsement del futuro governo talebano.  “Quando adotti la cultura di qualcun altro”, ha detto Khan, “credi che sia superiore e finisci per diventarne schiavo”, sottolineando l’importanza della “cultura tradizionale” spesso messa in contrapposizione all’“imperialismo” della cultura anglosassone. La vittoria dei talebani è poi usata da esponenti pachistani in chiave anti-indiana. Ieri il portavoce del partito di governo, il Movimento per la Giustizia del Pakistan, Neelam Irshad Sheikh, ha detto che i talebani “aiuteranno il Pakistan a liberare il Kashmir dall’India”.


Secondo gli analisti Bobby Ghosh e Hussein Ibish la competizione su chi avrà più influenza sull’Emirato dell’Afghanistan si gioca tra il Pakistan e il Qatar. In un editoriale pubblicato su Bloomberg, i due autori hanno scritto che la maggior parte degli afghani, ma anche degli stranieri in Afghanistan, ricordano il precedente governo dei talebani molto vicino a Islamabad, ma ora a voler contare qualcosa è anche Doha. Le due fazioni sono evidenti anche all’interno del gruppo dei fanatici: “Il Qatar è allineato con la fazione politica guidata dal Mullah Abdul Ghani Baradar, mentre il Pakistan sostiene l’ala militare, cona personaggi come Mohammad Yaqoob, figlio dell’ex leader supremo, il Mullah Omar, e Sirajuddin Haqqani, capo del temuto Haqqani Network , designato gruppo terroristico in America”. Lunedì scorso il presidente Joe Biden ha inviato a Kabul il direttore della Cia William Burns per incontrare il leader talebano Abdul Ghani Baradar, facendo sospettare al Pakistan di essere stato messo alla porta.


Il giornalista pachistano Adnan Aamir ha scritto ieri sul Nikkei Asia che il governo pachistano “sta facendo pressioni su quattro nazioni dell’Asia centrale che condividono i propri confini con l’Afghanistan per coordinare un approccio diplomatico ai talebani”. Il ministro degli Esteri di Islamabad, Shah Mehmood Qureshi, ha iniziato un viaggio di tre giorni in Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Iran con l’obiettivo di creare un’alleanza e fare pressione sui talebani affinché “formino un governo inclusivo”. Per il primo ministro  Khan “inclusivo” significa che tenga in considerazione anche la fazione più vicina al Pakistan. 


Nel frattempo, nella parte sud ovest della cosiddetta linea Durand, il confine tra Afghanistan e Pakistan lungo 2.611 chilometri, si stanno ammassando migliaia di afghani nel tentativo di fuggire in Pakistan. Un confine che già da mesi Islamabad aveva ordinato di rafforzare con recinzioni e filo spinato: da giorni sui social network circolano le immagini di Spin Boldak, la città al confine tra i due paesi nella provincia di Kandahar, paragonate a quelle dell’aeroporto di Kabul durante l’evacuazione dei paesi occidentali.  Per il Pakistan la rapida stabilizzazione dell’Afghanistan è una priorità anche per sorvegliare i vari gruppi terroristici che sfuggono al controllo del governo di Islamabad, tra cui il Tehrik-i-Taliban Pakistan e i gruppi separatisti di etnia baloch. 
 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.