la versione di petraeus

I talebani non hanno i soldi per far funzionare un governo

Micol Flammini

I fanatici dovranno garantire servizi, pagare stipendi, finanziare la sicurezza nazionale e per fare tutto questo non basteranno né l'oppio né gli investimenti, molto in dubbio, di Russia e Cina

Ora che anche Vladimir Putin ha dato ordine di iniziare a evacuare da Kabul i cittadini russi, circa cinquecento, è chiaro che nessuno è più in grado di garantire la sicurezza in Afghanistan, tutti temono che la situazione, già complessa e disperata, possa peggiorare ancora. E lo teme anche chi, come Mosca, pensa che con i talebani si possa e si debba dialogare. Gli americani stanno accelerando la loro evacuazione, sono riusciti a portare via più di ottantamila persone, una cifra enorme e in aumento: il tentativo di dare ancora qualcosa al paese. Oggi chiunque  continuasse a credere alle promesse dei talebani, che chiedevano alle ambasciate di rimanere perché loro avrebbero garantito la sicurezza – è trascorsa una settimana esatta dalla prima conferenza stampa del portavoce del gruppo – più che  un ingenuo inizia a sembrare un sostenitore dei fanatici. Lunedì i talebani hanno detto che gli afghani non potranno più partire, i voli che rimangono sono per gli stranieri. Gli afghani sono ormai prigionieri dell’Afghanistan e presto i talebani dovranno dare prova di sapere gestire, governare, mantenere questo nuovo stato. Secondo il generale americano ed ex direttore della Cia David Petraeus anche gli estremisti, quasi come una forza politica qualsiasi, capiranno che stare all’opposizione è molto più difficile che governare. Intervenuto in un seminario organizzato dal Financial Times, il generale ha cercato di delineare quale sarà il futuro dell’Afghanistan. 


Petraeus ha anche  lasciato  aperta la possibilità che avere a che fare con i talebani potrebbe essere meno difficile del previsto. Non per gli afghani, ma per le potenze straniere. I talebani, ha detto il generale, partono con diversi problemi, infinite debolezze e l’influenza che gli Stati Uniti e gli altri potrebbero utilizzare è maggiore rispetto a quella che pensiamo in questo momento,  concentrati sulla fuga da Kabul. Non è soltanto la debolezza militare, ma quella economica a pesare sul futuro dei talebani. “Credo – ha detto il generale – che i talebani debbano essere consapevoli di dover affrontare prima di tutto un deficit di bilancio enorme. Nessuno sa come sarà un futuro governo talebano, come si organizzerà e cosa farà, ma probabilmente loro sono i primi a non saperlo. L’unica cosa sicura è che avranno bisogno di denaro”. Il problema economico è molto profondo perché non soltanto sono stati congelati tutti i beni afghani, ma le organizzazioni occidentali, le ong, le ambasciate, i soldati, tutto ciò che faceva parte dell’ecosistema del paese ormai non c’è più. Al seminario è intervenuto  anche Ajmal Ahmady, ex direttore della Banca centrale afghana, fuggito dopo la presa  di Kabul da parte degli estremisti. Ahmady ha detto che l’impatto del nuovo governo sull’economia del paese avrà soprattutto tre conseguenze: inflazione, meno servizi, emigrazione. E di fronte a questi problemi non c’è traffico di droga, mercato nero o investimento cinese che possano risolvere la questione. Il commercio dell’oppio era utile per finanziare gli estremisti nel combattimento, ma non per mandare avanti un governo.  Sulla possibilità di investimenti di Pechino sia Ahmady sia Petraeus sono molto scettici. Per il primo la Cina non ha intenzione di mettere piede in Afghanistan, lo avrebbe già fatto. Per il secondo, Pechino proverà a sfruttare i circa 2 trilioni di dollari di ricchezze minerarie, ma non ora  con un governo traballante e composto da fanatici. Per stabilire industrie estrattive inoltre ci vuole tempo. E poi per il generale è  il modo in cui investe Pechino che porta un profitto relativo: “Non crea lavoro, porta lavoratori cinesi”. 

I talebani dovranno pagare stipendi, importare carburante, fornire servizi ai cittadini, riparare le infrastrutture danneggiate. Il bilancio del governo afghano  è di “circa 18 miliardi di dollari all’anno”, ha detto Petraeus. Il governo potrebbe generare 2 miliardi di dollari in dazi doganali o alcune tasse, ma anche questa è una cifra rivista molto al rialzo. Il dato è certo: “La sfida saranno i soldi”. I talebani sanno di essere precari e questa, ha detto il generale, è la differenza principale rispetto a vent’anni fa. Dovranno fare tagli, non avranno denaro per la sicurezza nazionale, “l’economia è destinata a crollare”. 
Un regime ha bisogno di denaro, oltre che di competenze, e non ci sono potenze che possano sostituirsi agli Stati Uniti. Non la Cina e non la Russia che ora se ne va. Petraeus è convinto che dall’esterno però l’occidente, nonostante la ritirata, la credibilità ferita, ha ancora modo di esercitare la sua influenza. Nonostante l’amarezza per aver perso di fatto una guerra che lui aveva aiutato a vincere, finché sembrava vinta, il generale è convinto che gli Stati Uniti non hanno intenzione di scomparire dalla scena internazionale. Non vogliono chiudersi in loro stessi. E’ vero che hanno nuovi obiettivi, ma continuano a essere la potenza che spende più in Difesa, “per questo gli alleati Nato, nonostante le critiche, da soli, senza l’esercito americano, non sarebbero mai potuti rimanere in Afghanistan”. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.