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La Cina sfrutta il caos per fare propaganda anti americana

Giulia Pompili

Per Pechino, sempre più forte e influente nel resto del mondo, sottolineare gli errori degli Stati Uniti è il modo per ergersi a esempio alternativo. Anche in Afghanistan: ha un ottimo dialogo con i talebani, ma di loro si fida molto poco

Come prevedibile, in questi giorni di crisi la propaganda cinese sta lavorando a pieno ritmo per delegittimare il modello americano e sfruttare a suo vantaggio la debolezza occidentale. Quando ieri il segretario di stato Antony Blinken ha parlato al telefono con i suoi omologhi internazionali e ha avuto una conversazione anche con il ministro degli Esteri di Pechino Wang Yi, la notizia sui media cinesi è stata diffusa sottolineando il fatto che fosse stata la parte americana a richiedere la telefonata. C’è un motivo: il 28 luglio scorso Wang Yi ha incontrato il mullah Abdul Ghani Baradar a Tianjin, in Cina, in un vertice che è stato molto pubblicizzato per mostrare il lato “dialogante” non solo dei talebani, che allora erano a pochi giorni dall’arrivo a Kabul, ma anche e soprattutto per mostrare la capacità diplomatica cinese in alternativa all’“uso del potere militare americano”. Il messaggio propagandistico di Pechino è: ora che se ne sono andati, lasciando il caos nel paese, chiedono il nostro aiuto.

 

Un editoriale non firmato pubblicato ieri dal Quotidiano del popolo, organo del Comitato centrale del Partito comunista cinese, titolava: la disastrosa eredità dell’America in Afghanistan. “Quello che Washington per vent’anni ha chiamato ‘nation building’ si sta sgretolando davanti agli occhi del mondo”, si legge nel commento: “Morte, spargimento di sangue e tragedia umanitaria è ciò che gli Stati Uniti hanno davvero lasciato in Afghanistan”. Per Pechino, sempre più forte e influente nel resto del mondo e in paesi in via di sviluppo come quelli africani, è molto importante sottolineare gli errori americani in modo da ergersi a modello alternativo – l’obiettivo finale del Sogno cinese del presidente Xi Jinping. Chi si fiderebbe mai delle accuse di un paese che vuole “esportare la democrazia” e invece esporta morte e distruzione? E più della Russia, più della Turchia, la Cina oggi ha a disposizione la potenza mediatica e l’influenza politica sui paesi alleati per poter veicolare in modo efficace il suo messaggio contro l’alleanza occidentale.

 

Tutte le accuse che Washington muove contro Pechino – bullismo, coercizione economica, egemonia, violazione dei diritti umani – si trasformano in un’accusa di ipocrisia e di incoerenza: il Quotidiano del popolo cita l’indagine della Corte penale internazionale sui crimini di guerra nel contesto del conflitto in Afghanistan, e le sanzioni contro i funzionari dell’istituzione approvate da Trump nel 2020: “La tragica ironia è che l’America, il paese che meno rispetta la sovranità degli altri, ha voluto usare la sovranità come pretesto per bloccare un’indagine indipendente sui suoi crimini di guerra”. L’eco è ovviamente alla sovranità rivendicata spesso da Pechino per le questioni più spinose sul piano internazionale – la violazione dei diritti umani nell’area dello Xinijang, a Hong Kong, perfino la territorialità di Taiwan. Non ultime, le accuse di ostruzionismo da parte dell’America nei confronti della Cina sulle indagini internazionali sull’origine della pandemia.

 

Nei giorni scorsi diversi account di funzionari cinesi di spicco, tra cui quello di Hua Chunying, capo del dipartimento informazione del ministero degli Esteri cinese, hanno fatto circolare le immagini dell’evacuazione delle truppe americane dal Vietnam nel 1975 associate a quelle dell’evacuazione di Kabul. Ieri al Consiglio di sicurezza  dell’Onu Geng Shuang, viceambasciatore cinese alle Nazioni Unite, ha detto che “il caos in Afghanistan è una diretta conseguenza del ritiro precipitoso delle truppe straniere”.

 

Al di là della propaganda antiamericana, a livello politico la Cina può contare sul canale di dialogo aperto con i talebani ad altissimo livello e anche sulle strette relazioni con il Pakistan. Ma secondo molti analisti non è detto che la Cina abbia realmente intenzione di svolgere un ruolo centrale in Afghanistan. Se da un lato è vero che l’influenza cinese in Afghanistan può essere un asset per Pechino, soprattutto per le aziende cinesi in cerca di risorse minerarie, dall’altro lato Pechino si fida molto poco dei talebani. Soprattutto per una ragione: una delle priorità della leadership cinese è lo Xinjiang e la guerra anti islamismo, che giustifica le operazioni contro la minoranza musulmana degli uiguri. Il nuovo Emirato Islamico dell’Afghanistan potrebbe non essere il miglior alleato della Cina di Xi.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.