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La teoria del coronavirus creato in laboratorio e le dichiarazioni di Fauci (che lasciano il segno)

Francesco Gottardi

La possibilità di un incidente nel centro di ricerca di Wuhan rischia di fare il salto di specie: da slogan di Trump a “remota ipotesi da indagare”, secondo la comunità scientifica e il capo della task force anti-Covid negli Stati Uniti

Maggio 2020: “L’evidenza scientifica indica fermamente che il virus sia evoluto in natura per poi compiere il salto di specie. E dunque non possa essere stato manipolato in laboratorio”.

 

Maggio 2021: “Non sono convinto che il Covid-19 abbia origine naturale. Penso che dobbiamo continuare a indagare su cosa sia successo in Cina fino a quando troveremo, al meglio delle nostre capacità, le risposte più esatte. Certamente, chi sta investigando ritiene probabile che si tratti di un bacino animale ad aver infettato l’uomo. Ma potrebbe essere stato anche qualcos’altro ed è nostro dovere scoprirlo”.

 

A parlare è sempre il dottor Anthony Fauci, capo dell’Istituto nazionale americano di malattie infettive e consigliere medico della Casa Bianca, già alla guida della task force contro la pandemia durante l’amministrazione Trump. Uno dei più autorevoli esperti in materia, fresco di cavalierato della Repubblica italiana – “i miei nonni sarebbero felici” – proprio per aver “saputo accreditarsi come punto di riferimento nel mondo della salute pubblica parlando alla politica con chiarezza, sempre guidato dalla ragione e dei dati”. Senza paura di stroncare i cospirazionismi, a partire da quelli di The Donald sulle origini del “virus cinese”. Momento: oltre a Biden presidente e a 3 milioni di morti in più nel mondo, in un anno cosa è cambiato? Perché un uomo di scienza al di sopra di ogni sospetto ha deciso di concedere il beneficio del dubbio a una tesi che offre il fianco ai fanatici del complotto?

    

L’ultimo indizio è arrivato dal Wall Street Journal – non un tabloid alla Murdoch, nonostante la proprietà – nel weekend: secondo un rapporto dell’intelligence americana, finora rimasto segreto, tre ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan avrebbero accusato “sintomi compatibili sia con il Covid-19 che con l’influenza stagionale” già a novembre 2019. Dunque con qualche settimana di anticipo rispetto al primo caso ufficialmente confermato da Pechino. L’affidabilità dell’informazione, specifica la testata di New York, stando alle fonti dei servizi segreti interpellate, varia dal “necessaria di ulteriore verifica” all’“estremamente significativa: resta solo da appurare perché si siano ammalati”. Non vengono forniti ulteriori dettagli, né frammenti originali del rapporto. L’amministrazione Biden ha optato per il no comment. E la Cina si ritrova a smentire seccamente le insinuazioni ancora una volta, spingendo a “cercare le origini del virus anche altrove”.

   

Si finisce in un ginepraio. Ma il tempismo delle dichiarazioni di Fauci rientra nel più ampio percorso della comunità scientifica. Risale al 14 maggio l’appello firmato da 18 accademici del mondo anglosassone sull’autorevole rivista Science che chiede di analizzare più a fondo le origini del Covid-19: “Teorie sul rilascio accidentale del virus da un laboratorio e sul salto di specie zoonotico rimangono entrambe praticabili, per quanto la seconda sia estremamente più probabile della prima”. Non vuole essere un assist ai cospirazionisti, ma la difesa ferrea di un opposto principio cardine: fino a prova contraria. E a oggi gli elementi a disposizione per scartare l’ipotesi dell’incidente sarebbero non sufficienti. A fine marzo, dopo la missione condotta dall’Oms a Wuhan, lo stesso direttore Tedros – garantista a oltranza con Pechino nelle primissime fasi della pandemia – ammise le difficoltà riscontrate in Cina nell’accedere ai dati necessari. Fra i membri del team internazionale, il dottor Peter Daszak aveva smentito e in una conversazione con Nature aveva spiegato di essere sicuro della solidità delle proprie conclusioni: “Ci è stato permesso di fare tutte le domande che volevamo, e abbiamo ottenuto le nostre risposte”. Però non basta: un tema di portata globale impone massima trasparenza e condivisione. È questa lunga attesa ad aver fatto maturare il possibilismo razionale, anche laddove la scienza rischia – per amor proprio – di alimentare la fantascienza.

  

Lo scrupolo se lo sono posto anche i 18 firmatari dell’appello: “In questi tempi di deplorevole sentimento anti-asiatico in alcuni paesi”, si chiude la lettera a Science, “vogliamo rimarcare che all’inizio della pandemia sono stati i cittadini cinesi a fornire al mondo informazioni cruciali sulla diffusione del virus, a volte pagando un caro prezzo personale. Dovremmo mostrare la stessa determinazione nel promuovere uno spassionato dibattito. Su basi scientifiche”, non politiche o umorali. Quindi noialtri, a meno di dati di prima mano a clamorosa disposizione, stiamone fuori. Soprattutto sui social. Che il terrapiattismo può bastare.

 

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