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Lavoro, povertà, formazione. Il capo del Consiglio europeo ci spiega l'Europa sociale

David Carretta

Parla Charles Michel. “Siamo noi dell’Europa a far muovere tutti sul clima” 

Bruxelles. “Il pil è una bussola utile, ma non è l’unica. La bussola europea deve essere il benessere dei nostri cittadini”, dice al Foglio il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, alla vigilia del summit sociale che domani e sabato riunirà i capi di stato e di governo dell’Ue a Porto. L’appuntamento è stato fortemente voluto dal primo ministro portoghese, il socialista António Costa, che ha la presidenza di turno dell'Ue. L’ultimo vertice dedicato al sociale si era tenuto a Göteborg nel 2017, quando Consiglio, Commissione e Parlamento proclamarono solennemente “il pilastro europeo dei diritti sociali”. Il progetto non si è mai davvero concretizzato. Mica è facile fare l’Europa sociale, quando la competenza in questo settore è nazionale. In vista del summit di Porto, undici paesi hanno subito inviato un documento (un non-paper) per dire che va bene fissare degli obiettivi generali, ma l’attuazione “dipende in gran parte dall’azione degli stati membri, che detengono primariamente la responsabilità” su occupazione, istruzione e politiche sociali. Dal 2017 tuttavia molte cose sono cambiate. Nel 2019 l’Ue si è lanciata nella doppia transizione climatica e digitale, che rischia di creare forti tensioni politiche e sociali. Nel 2020 è stata travolta dal Covid-19, le cui ripercussioni sociali non sono ancora misurabili. “Il principale principio che ci guida in Europa è la dignità e il rispetto per ciascun essere umano”, spiega Michel: “Spero che Porto invii il segnale che la bussola europea è il benessere di ciascun cittadino”. 

 

Sul pilastro sociale, alcune forze politiche al Parlamento europeo sono molto ambiziose e sostengono la necessità di introdurre a livello dell’Ue il salario minimo o il reddito universale. Ma è inaccettabile per gran parte degli stati membri. Più realisticamente, a marzo la Commissione ha proposto tre obiettivi da realizzare entro il 2030: un tasso di occupazione di almeno il 78 per cento; almeno il 60 per cento di adulti che partecipa a corsi di formazione ogni anno; far uscire almeno 15 milioni di persone (compresi 5 milioni di bambini) dal rischio di esclusione sociale o povertà. “Il pil è importante, ma dobbiamo prendere in considerazione altri criteri”, insiste Michel. Povertà, ambiente, clima, livello di istruzione, accesso alla sanità, innovazione, lotta alle discriminazioni: l'idea è di individuare con le parti sociali “5-10 criteri appropriati per valutare nel dibattito democratico se facciamo progressi”. Michel è costretto a camminare su un filo sottile. Nel suo ruolo di presidente del Consiglio europeo rappresenta i capi di stato e di governo, che decidono tutto all’unanimità.

 

 
Il Consiglio europeo è il luogo del compromesso per necessità, il “minimo comun denominatore” che spesso frena l’Ue. “Il processo europeo è complesso perché ci sono due legittimità”, dice Michel: “Da una parte c’è la legittimità del Parlamento e della Commissione, e dall’altra c'è il Consiglio con 27 legittimità e i capi di stato e di governo e i ministri che sono responsabili a livello nazionale. Questa è la realtà europea. Piace o non piace, ma dobbiamo tenerne conto”. Tuttavia, con la crisi del Covid-19, si è visto che anche nei settori di competenza nazionale come la sanità “dobbiamo rafforzare l’approccio europeo”, dice Michel.

 

Sull’idea di un reddito universale Michel ricorda che “istituzionalmente questa responsabilità è nazionale”, ma “ha il merito di nutrire il dibattito e provocare un certo numero di riflessioni”. In alcuni paesi, come in Germania, “ci sono esperienze pilota”. Può essere “interessante per dare una scossa alla scatola degli attrezzi delle idee”. Soprattutto - spiega il presidente del Consiglio europeo - “dimostra che ci sono interrogativi molto legittimi su come dobbiamo riorganizzare la società, la solidarietà tra generazioni e cittadini, e come prendere in considerazione le nuove forme di lavoro”. Secondo Michel, “l’uberizzazione della società mette pressione sullo schema classico di finanziamento del nostro sistema sociale”. Il Covid-19 ha accelerato le trasformazioni, per esempio con lo smart working (Michel, per esempio, è personalmente favorevole al diritto a sconnettersi). Ci possono essere “scontri politici e ideologici”, ammette il presidente del Consiglio europeo. L’importante è che avvengano “sulla base dello stesso quadro condiviso” muovendosi “nella direzione di più convergenza” europea. E’ in corso “la terza rivoluzione industriale”, quella climatica e digitale, e la posta in gioco del summit sociale di Porto si riassume in una frase: “lo abbiamo visto con alcune contestazioni sociali per il prezzo della benzina. Abbiamo visto il paradosso tra la necessità di avviare il cambiamento di paradigma sul piano climatico e allo stesso tempo l’importanza di preservare il potere d’acquisto delle famiglie”. 

 

 

Un ruolo lo giocherà il Recovery fund. “Più che un debito comune, sono investimenti in comune”, dice il presidente del Consiglio europeo. “Il momento della verità e lo dobbiamo ai nostri figli è investire bene e rapidamente”. Questo è il momento di “mettere in opera” e “assicurare che questi investimenti rappresentino il cambiamento di paradigma”, non un semplice “travestimento”. Secondo Michel, “i piani nazionali (di ripresa e resilienza) e le scelte di investimento sono la chiave. Sono convinto che abbiamo fatto la scelta giusta” su clima e digitale, “ma non basta” perché ora è il momento di “concretizzare”, dice. Il presidente del Consiglio europeo sembra escludere la possibilità di aumentare le risorse interne seguendo la strada dei maxi-piani di Joe Biden negli Stati Uniti. “Abbiamo preso una decisione sull'ammontare e ora dobbiamo implementare ciò che abbiamo deciso”, spiega Michel. “Ma non è solo una questione di ammontare, è anche una questione di rafforzare il mercato interno” con altri strumenti “come le riforme per rafforzare la resilienza dell'Ue”. Sul cambio di paradigma, non c'è solo il fronte interno. C'è anche “la diplomazia climatica e digitale”, ricorda Michel: “E' l’Europa che ha spinto la Cina, il Sud Africa, il Brasile e gli Stati Uniti a muoversi e in pochi mesi. E' l’Europa che dice che il clima deve far parte degli accordi commerciali, nessun altro. E abbiamo una generazione, 20 anni, per realizzare questo cambiamento di paradigma”. Dopo il summit sociale, i leader europei si riuniranno in videoconferenza da Porto con il premier indiano, Narendra Modi. “L'India è un grande paese, con grande potenziale”, dice Michel: l’obiettivo è “rilanciare un processo di negoziati sul commercio, la protezione degli investimenti e le indicazioni geografiche”.

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