(foto Ap)

Lo scandalo che non c'è sul legame tra Macron e McKinsey

Mauro Zanon

Dalla commissione Attali al piano vaccinale, tutto nella Francia del presidente passa per “la firme”

Parigi. Quando il Canard enchaîné ha rivelato lo scorso gennaio che una parte del piano di vaccinazione della Francia era stato curato da McKinsey, la società di consulenza americana che sussurra all’orecchio di molti governi, compreso quello italiano, l’opposizione anti Macron ha inscenato il solito teatrino contro “i privati”, arruolati dai liberali per smontare l’apparato statale. “Perché è stato necessario ricorrere a McKinsey?”, ha chiesto Boris Vallaud, deputato socialista, durante l’audizione del ministro della Salute Véran dinanzi alla commissione Affari sociali del Parlamento. “Non disponiamo tra i corpi dello stato di un Alto commissario per la pianificazione o di esperti di logistica competenti?”, ha attaccato Adrien Quatennens, membro della France Insoumise. Dinanzi al fuoco incrociato, Véran ha alzato gli occhi al cielo un po’ spazientito, poi ha risposto così: “E’ assolutamente normale e coerente affidarsi a una società di consulenza strategica privata”.

 

Anche a Parigi, come a Roma, McKinsey è al centro di polemiche aspre e si grida allo scandalo da quando M, il magazine del Monde, ha pubblicato un’inchiesta dedicata ai rapporti di lunga data tra l’inquilino dell’Eliseo e la multinazionale di consulenza. “McKinsey, una società sulle orme di Emmanuel Macron”, è il titolo dell’articolo che ha provocato l’indignazione generale, perché dalla commission Attali all’elaborazione della strategia vaccinale, passando dalla stesura del programma presidenziale, “La firme”, come è soprannominata McKinsey nel settore, è sempre stata presente. “Ci riunivamo con Attali e Macron la sera, fino a mezzanotte, in una sala del Senato. Seduti sulle poltroncine del pubblico, c’erano tre o quattro giovani di McKinsey. Facevano delle analisi di simulazione con Excel. Di solito, i consulenti non avevano diritto di parola, ma il loro capo era così brillante che lo ascoltavamo come se fosse un membro a tutti gli effetti”, ricorda un componente della commission Attali, istituita dall’allora presidente Nicolas Sarkozy per modernizzare la Francia. Macron era il vice relatore generale di quella commissione. E il capo dei McKinsey boys che ammaliava Attali e il suo assistente era Karim Tadjeddine, 32 anni all’epoca, allievo del Polytechnique e dell’École nationale des ponts et chaussées.

 

Tra Macron e Tadjeddine fu subito colpo di fulmine. Insieme, nel 2010, entrano nel consiglio di amministrazione del think tank riformista En temps réel. Nel 2016, Macron firma la prefazione del libro collettivo “L’État en mode start-up” e Tadjeddine scrive il capitolo sulle riforme che sono state realizzate negli altri paesi e a cui la Francia dovrebbe ispirarsi. In seguito, da condirettore del dipartimento Servizio pubblico di McKinsey, Tadjeddine dà il suo contributo al progetto di riforma dello stato voluto da Macron, e quando il deputato macronista Aurélien Taché ha bisogno di una consulenza per una relazione sulla politica migratoria si rivolge ancora a lui, al fidato Karim. Dopo la Commissione Attali, un altro consulente di McKinsey rimane in contatto con Macron: si chiama Guillaume Liegey. Appassionato di politica, parte negli Stati Uniti a spese di McKinsey, studia alla Kennedy School of Government di Harvard e osserva da vicino la campagna elettorale innovativa dell’allora candidato del Partito democratico Barack Obama, che unisce le potenzialità dei Big Data e il classico porta a porta. Tornato a Parigi, memore di quell’esperienza, fonda assieme a due amici Lmp, la prima start-up di strategia elettorale europea, e quando lo stratega di En Marche!, Ismaël Emelien, ha l’idea della “grande marche”, la maxi consultazione porta a porta per raccogliere desideri e doléances dei francesi, decide di affidare tutto a Liegey. “Vota socialista, ma ragiona come un consulente – scrive il Monde del boss di Lmp – Il partito politico del futuro dovrà dimenticare l’ideologia e concentrarsi su progetti concreti, su un’offerta che risponde alla domanda degli elettori. La sinistra caviar è morta, è giunto il momento della gauche McKinsey”. Mounir Mahjoubi, ex segretario di stato al Digitale, è un altro prodotto della maison americana, e Paul Midy, attuale direttore generale della République en marche, ha imparato il mestiere presso “La firme”. McKinsey, la fornace a stelle e strisce dei macronisti.

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