Foto Wesley Tingey via Usnplash 

saverio ma giusto

In burocracy we trust

Saverio Raimondo

Se Trump non distruggerà il mondo da qui al 20 gennaio lo dovremo ai cavilli burocratici che tanto detestiamo

Ora che possiamo dire addio a Donald Trump (o forse è solo un arrivederci, ma per lo meno è un bel va a quel paese), dobbiamo anche dire grazie alla burocrazia. A tutti quei funzionari, apparati, grigi burocrati, ragionieri del Dipartimento di stato, ingegneri del Pentagono, geometri della Casa Bianca, passacarte più o meno bollate, colletti bianchi, impiegati pubblici con lo sportello attorno, creature mitologiche metà uomo metà scrivania, livelli intermedi che hanno fatto sì che alle parole di Trump non seguissero azioni altrettanto scellerate. Dobbiamo dire grazie a tutte quelle procedure, matricole, codici, cavilli, protocolli, moduli, formalità, consuetudini, gerarchie, uffici che rendono la nostra vita impossibile, ma che nel caso della presidenza Trump la vita ce l’hanno anche salvata; ricordiamocelo, la prossima volta che imprechiamo per una voltura di luce e gas. Se da qui al 20 gennaio Donald Trump non sgancia l’atomica da qualche parte nel mondo – così, per dispetto – dovremmo ammettere che la sua presidenza poteva andare molto peggio. Potevano esserci molte più atrocità, aberrazioni, conseguenze, morti e feriti. Ha avvelenato i pozzi; ma poteva proprio farli esplodere e sotterrarli per sempre.

 

 

Se ciò non è successo è solo grazie alla burocrazia – il solo, vero e unico Deep State – che rende il funzionamento della macchina statale lento e compromesso, sostanzialmente inefficiente, chiunque sia al comando. A suo modo una garanzia: non permettere di eccellere, ma nemmeno di degenerare fino al punto di non ritorno. Ed è infatti grazie alla procedura più burocratica al mondo – cioè le elezioni – per giunta nella sua accezione più snervante – il voto per posta! – che gli Stati Uniti possono voltare pagina, o per lo meno provarci. Più che una vittoria della democrazia, una vittoria per la burocrazia più pedante; tanto che lo stesso Trump ha dovuto rivedere la sua strategia, e passare dal campo di gioco del consenso e dei media a quello dei tribunali, che con tutte le sue pratiche, incartamenti, faldoni, scartoffie, è la Wimbledon della burocrazia. Dopo pochi giorni, ecco un altro annuncio salvifico nonché un’altra prova di potere reale e concreto: il vaccino Pfizer è efficace al 90 per cento e sarà presto in distribuzione. Anche qui, vince l’apparato: la multinazionale del farmaco, Big Pharma, i grandi capitali economici, etc. Badate bene, non sono un cospirazionista, ma guardo con occhi sempre più benevoli ai complottisti e ai dietrologi.

 

 

Per me sono i nuovi utopisti: il mondo che immaginano nei loro deliri non c’è, non esiste, non ha alcun riscontro con la realtà, e forse è impossibile da ottenere, irraggiungibile; ma quanto sarebbe bello? Quello che i complottisti stigmatizzano è un mondo ideale: nessun imprevisto, tutto calcolato, tutto sotto controllo, tutto si tiene in un perfetto e armonico rapporto di causa ed effetto; persino la morte avrebbe un senso, o per lo meno un mandante. E al comando ci sarebbero organismi che, in effetti, funzionano. L’idea che ci sia un governo invisibile non soggetto all’irragionevole isteria dell’opinione pubblica, uno stato profondo che può tutto, dal truccare le elezioni al causare i virus, è un’idea meravigliosa che porrebbe fine all’incertezza del mondo e alla sua arbitrarietà. Propongo di assumere complottisti, dietrologi e paranoici come consiglieri di stato: una task force di visionari che possano ispirare con le loro teorie più assurde e demenziali la società del futuro. Un mondo migliore.

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