Roma. Cittadina dell’hinterland parigino, Sèvres è famosa per due cose: un tipo di porcellana particolarmente pregiato, ma anche facile ad andare in pezzi, e il trattato di pace che esattamente cento anni fa vi fu firmato, tra l’Impero ottomano da una parte e dall’altra Regno Unito, Francia, Italia, Grecia e Giappone. Il 10 agosto del 1920. Nomen omen, l’ultimo tra i cinque trattati di pace fu quello che richiese il lavoro di artigianato diplomatico più certosino. Inglesi e francesi infatti si erano accordati per spartirsi le spoglie della Turchia col patto Sykes-Picot del 3 gennaio del 1916. Avevano promesso di dare anche un boccone all’Italia col segreto Patto di Londra del 1915, e glielo avevano confermato con l’altro accordo segreto di San Giovanni di Moriana del 1917. Avevano garantito ampie porzioni di Anatolia anche alla Grecia. Avevano ovviamente permesso che Lawrence d’Arabia prendesse impegni per la costituzione di una nazione araba indipendente. Avevano emanato il 2 novembre del 1917 la Dichiarazione Balfour, che prevedeva un “Focolaio Ebraico” in Palestina. Avevano accolto i “Quattordici punti” di Wilson, secondo cui: “Alle regioni turche dell’attuale Impero ottomano dovrà essere assicurata una sovranità non contestata, ma alle altre nazionalità, che ora sono sotto il giogo turco, si dovranno garantire un’assoluta sicurezza d’esistenza e la piena possibilità di uno sviluppo autonomo e senza ostacoli”. La Rivoluzione russa, togliendo di mezzo lo zar, aveva per un verso alleggerito il conto, tenendo conto che Nicola II voleva addirittura Costantinopoli. Dall’altro lo aveva però complicato, visto che i bolscevichi avevano rivelato al mondo il contenuto dei trattati segreti degli Alleati. In più ci si era messa di mezzo anche una mobilitazione dei musulmani dell’Impero britannico, a chiedere che il sultano venisse lasciato al suo posto come capo della loro fede. E anche i nazionalisti indù di Gandhi li avevano appoggiati, come pegno di unità nazionale.
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