La Grande guerra nel medio oriente

Matteo Matzuzzi
Eugene Rogan
Bompiani, 746 pp., 25 euro

    La storiografia sulla Prima guerra mondiale ha indagato e detto tutto il possibile su come si giunse all’attentato di Sarajevo nel quale morì l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, su quel che accadde dopo, sui dubbi più o meno laceranti del vecchio Francesco Giuseppe e le spinte militariste degli stati maggiori degli imperi centrali. Tanto è stato scritto sulla reazione di Russia, Francia e Gran Bretagna, sulle cortine che ben presto furono scavate nel continente europeo, sul patimento dei soldati e dei civili mandati al fronte, sul ruolo dell’America wilsoniana. Ma molto accadde anche nell’anello di congiunzione tra l’Europa e l’Asia, l’Impero ottomano da decenni avviato verso un disfacimento che il conflitto mondiale avrebbe certificato. Lo storico Eugene Rogan, direttore del Middle East Centre dell’Università di Oxford, ripercorre i momenti fondamentali dell’agonia, spiegando le ragioni del progressivo indebolimento e la morsa sempre più stretta delle potenze confinanti (non solo la Russia, ma anche la Gran Bretagna assai interessata al controllo del Mediterraneo e delle rotte verso l’Oceano indiano attraverso Suez). Il volume, a ogni modo, non è un manuale accademico, nonostante il rigore della ricerca e il corredo di mappe (ce ne sono sei) che aiutano il lettore a muoversi sul campo. Il ritmo, infatti, è incalzante,  soprattutto quando l’autore si sofferma sul racconto delle battaglie – spesso epiche – che gli ottomani combatterono in condizioni climatiche insopportabili, sperando di invertire il corso della storia che pareva pure a loro ineludibile. E’ in quegli anni caotici che portarono alla ridefinizione dei confini europei e del vicino oriente che si possono riscontrare neppure con troppa difficoltà i semi del disordine attuale, con la messa in discussione  (o del superamento, per molti già avvenuto) degli accordi Sykes-Picot e l’eliminazione delle frontiere stabilite a tavolino al termine della guerra dalle potenze mandatarie. “E’ ancora molto difficile comprendere il fronte ottomano partendo dal lato turco delle trincee”, scrive Rogan, che lamenta anche una certa difficoltà ad accedere ai materiali d’archivio di Ankara. Non va meglio negli altri paesi del medio oriente, dove gli archivi nazionali – se esistono – “sono stati istituiti  dopo il conflitto e non sono incentrati in maniera particolare sulla Grande guerra”. L’interesse per l’argomento, nella società mediorientale è scarso, nota lo storico, al punto che il più grande massacro che il mondo avesse mai visto fino ad allora “viene ricordato come una faccenda che riguarda qualcun altro, come un tempo di sofferenze inflitte al popolo arabo dall’Impero ottomano e dalla sconsiderata leadership dei Giovani turchi”. Aspetto, questo, fondamentale, perché “nel mondo arabo la Grande guerra non ha lasciato eroi, ma solo martiri soprattutto quegli attivisti arabi impiccati nelle piazze principali di Beirut e Damasco, entrambe ribattezzate in seguito ‘Piazze dei martiri’ proprio per questo motivo”. La vicenda, inevitabilmente, si interseca con il tabù che ancora oggi tiene banco ad Ankara, come dimostrano gli sviluppi politici e diplomatici seguìti alla recente deliberazione del Bundestag tedesco: il genocidio degli armeni. Rogan vi dedica un capitolo intero, intitolandolo “lo sterminio” e spiegando come si preparò l’eliminazione della fiorente comunità armena. Notevole l’indagine sul rapporto assai stretto tra Istanbul e Berlino negli anni del conflitto, soprattutto se si considera che “molti esponenti dell’alto comando tedesco ritenevano che il più grande contributo che gli ottomani” avrebbero potuto dare “al loro sforzo bellico sarebbe venuto dal sollevamento interno al mondo musulmano”.

     

    LA GRANDE GUERRA NEL MEDIO ORIENTE
    Eugene Rogan
    Bompiani, 746 pp., 25 euro

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.