A cosa badare ora che la Brexit si fa. La ricerca di “Rosa&Roubini”
Un anno è troppo poco per avere un deal e c’è il rischio che entro dicembre 2020 il Regno Unito si trovi di fronte a un’uscita senza paracadute
Milano. Il giorno in cui Boris Johnson ha vinto le elezioni, la Borsa di Londra ha festeggiato come non accadeva da tanto tempo. I mercati detestano l’incertezza e nella vittoria di Johnson hanno visto due cose: la possibilità di dare finalmente una direzione chiara alla Brexit e il fallimento del tentativo di Jeremy Corbyn di portare una svolta marxista nel sistema politico britannico. Stabilità politica e libero mercato, cosa c’è di meglio per gli investitori? Questo entusiasmo però è destinato ad affievolirsi se, come prevede una recente analisi della società di ricerche londinese “Rosa&Roubini”, una rinnovata fase di incertezza sui mercati è già alle porte e si manifesterà non appena il rischio di una Brexit senza accordo tornerà nel dibattito pubblico. “Qui l’unica cosa certa è che ci sarà un divorzio tra Gran Bretagna e Unione europea – dice al Foglio, l’economista Brunello Rosa, co-fondatore della società di ricerca macroeconomica e geopolitica insieme a Nouriel Roubini – ma come accade in tutti i divorzi, non basta fissare una data per separarsi, occorre decidere su questioni vitali come gli alimenti e la custodia dei figli. Nel caso della Brexit, si tratta di stabilire gli accordi commerciali, tariffari e doganali per le merci, i servizi e i capitali, nonché le regole sulla circolazione delle persone e la loro permanenza sul territorio nazionale. E tutto questo pezzo per ora manca”.
Johnson ha promesso di concludere l’accordo commerciale con l’Unione europea entro il 31 dicembre 2020 e, considerata la larga maggioranza che lo appoggia, non chiederà una proroga del periodo di transizione. Non è così? “È un compito praticamente impossibile, a meno che il premier non intenda raggiungere un’intesa solo in linea di principio, il che sarebbe la versione britannica della cosiddetta ‘fase 1’ dell’accordo sulla controversia commerciale Usa-Cina”, ironizza l’economista. Il punto, dunque, è che un anno è troppo poco per avere un deal e c’è il rischio che entro dicembre 2020 il Regno Unito si trovi di fronte a un’uscita senza paracadute. A quel punto tutti quei fattori che negli ultimi tre anni hanno depresso la sterlina e bloccato gli investimenti privati torneranno a palesarsi.
La ricerca di “Rosa&Roubini” converge sulla previsione dei più autorevoli centri di ricerca britannici: l’uscita dall’Ue attuata sulla base della proposta di BoJo comporterà per il Regno Unito un aumento tendenziale del prodotto interno lordo per i prossimi 10 anni inferiore del 2-5 per cento – a seconda di come sarà strutturato l’accordo commerciale – rispetto a quello che avrebbe potuto essere se il paese fosse rimasto all’interno dell’Unione. L’impatto macroeconomico della Brexit attuata sarà, dunque, una minor crescita nel medio-lungo termine. “La ragione di questo è che la maggiore spesa pubblica che il governo Johnson è deciso a mettere in campo, soprattutto per investimenti in infrastrutture, non riuscirà a controbilanciare il generale calo di produttività che avverrà con la riduzione dell’immigrazione, che per il Regno Unito vuol dire da sempre avvalersi dei migliori talenti del mondo che portano progresso e innovazione. Proprio di recente il paese ha visto ridursi, per esempio, la partecipazione a un importante centro di sperimentazione sulla fusione nucleare perché con l’incertezza della Brexit non si sa se e per quanto tempo la Gran Bretagna parteciperà ai progetti di ricerca con l’Ue in questo campo”. Eppure, proprio il premier conservatore ha promesso che questo sarà l’inizio di un nuovo decennio in cui il Regno Unito sarà un campione del libero commercio, dell’innovazione e della scienza, in grado di affrontare le sfide con vecchi e nuovi amici nel mondo. “Il paese non potrà fare meglio di quanto non facesse prima, soprattutto se da ‘Gran Bretagna’ si trasformerà in Piccola Inghilterra”, ribatte l’economista.
Tra gli effetti collaterali della Brexit, infatti, ci potrebbe essere una frattura interna con l’uscita della Scozia e una posizione indefinita e più defilata dell’Irlanda. “Di certo, le misure che il ministero del Tesoro dell’attuale governo punta ad attuare, magari con il favore di una politica monetaria accomodante da parte della Banca centrale guidata da Andrew Bailey, potranno creare un cuscinetto di breve periodo, ma in un orizzonte più ampio le prospettive di sviluppo economico sembrano destinate ad appiattirsi e noi italiani sappiamo bene che cosa vuol dire porsi su una traiettoria di stagnazione che rischia di mettere in discussione la sostenibilità del debito pubblico”. Nel frattempo, l’incertezza della Brexit – associata alle tensioni commerciali internazionali – ha già comportato un significativo rallentamento dell’economia del Regno Unito, con la crescita del pil che si è assestata all’1,2 per cento nel 2019, rispetto all’1,5 per cento circa del 2018, e la prospettiva di decelerare ulteriormente nel 2020. Sulla frenata ha pesato soprattutto la crescita zero registrata nel mese di ottobre conseguente alla stagnazione degli investimenti delle imprese e alla riduzione degli ordini dai mercati nazionali ed esteri. “A novembre, poi, proprio in vista delle elezioni generali di dicembre – prosegue Rosa – la fiducia dei consumatori è rimasta invariata al livello più basso dal 2013 e, attenzione, le prospettive per l’economia generale sono migliorate suggerendo che i consumatori credevano che le elezioni avrebbero potuto eliminare il blocco della Brexit. Questo la dice lunga anche sulla delusione che i britannici potrebbero provare se un bel mattino si dovessero svegliare fuori dall’Ue senza l’ombrello di un accordo commerciale che li protegga dai probabili rovesci dell’economia post Brexit”.
L'editoriale dell'elefantino