(Foto LaPresse)

Si vota nel Portogallo del (semi)miracolo aspettando un'altra “accozzaglia”

Valeria Manieri

Il primo ministro Costa ha il merito di aver proseguito nella politica fiscale e di risanamento con grande disciplina. "Ma non è un leader nella comunicazione e la soglia del 40 per cento sembra improbabile" ci dice un ex ministro

Roma. Oggi si vota in Portogallo, e “all’inizio della campagna elettorale l’unica domanda che sembrava rilevante era se il premier Antonio Costa e il suo Partito socialista sarebbero riusciti a ottenere la maggioranza assoluta – dice l’accademico Miguel Poiares Maduro, ex ministro per lo sviluppo regionale del governo di Passos Coelho, ancora parte del Partito socialdemocratico – A poche ore dal voto, questo sembra abbastanza improbabile”. E’ stata una settimana difficile per Costa, leader di una coalizione sinistra-sinistra che fu battezzata nel 2015 “geringonça” (l’accozzaglia), e si è registrato un certo recupero dei socialdemocratici. Nei dibattiti pubblici e televisivi, Costa non se l’è cavata benissimo, anche a causa di uno scandalo che ha toccato un suo ex ministro della Difesa, sommato alle dimissioni di altre figure importanti: è questo uno dei governi in Portogallo che ha contato più dimissioni per scandali. "Resta molto probabile una vittoria del socialista Costa, ma ancora una volta avrà bisogno di fare una coalizione di governo, o una coalizione con l’appoggio parlamentare di altri partiti: in questo è molto abile, è un mediatore nato" dice Poiares Maduro "ma non è un leader nella comunicazione e nei confronti diretti da campagna elettorale. La soglia del 40 per cento di cui si è molto parlato, non sembra probabile”.

 

Una nuova edizione della “geringonça” è possibile, “molto dipende dal risultato che i comunisti faranno a questa tornata elettorale”, dice l’ex ministro: secondo i sondaggi, l’alleanza con il Partito socialista non è stata vantaggiosa in termini di consenso, “potrebbero essere meno disponibili a partecipare”. Poi c’è il Blocco di sinistra, che in questa legislatura ha dato semplice appoggio parlamentare, ma ora potrebbe “richiedere qualche poltrona – ipotizza Poiares Maduro – e così le negoziazioni per Costa sarebbero ancora più difficili”. C’è anche un altro piccolo partito che potrebbe dire la propria nelle prossime settimane, il Pan, il Partito per i diritti degli animali, “che è molto cresciuto e che si è trasformato in un partito per la causa ambientalista. Potrebbe passare da uno a cinque deputati e così si ritroverebbe nella condizione di fare un accordo con Costa”. Queste difficoltà, come si sa, non spaventano troppo il premier, che ha maneggiato con abilità la frammentazione anche della sua stessa parte politica, ma questa capacità “a volte è anche un limite per la sua immagine pubblica di uomo affidabile. Non sempre paga elettoralmente”.

 

Ma quel che colpisce della storia recente del Portogallo è che, nonostante si siano avvicendate delle compagini politiche agli antipodi, c’è stata una grandissima continuità, che ha portato il paese fuori dalla crisi economica, archiviando la troika, diventando meta per molti stranieri e un punto fermo per la stessa Unione europea. “C’è stata continuità nella politica di risanamento – spiega Poiares Maduro – Il punto di partenza era però diverso. Costa ha trovato una situazione molto migliore di quella che trovammo noi. Quando arrivammo al governo il deficit era sopra il 10 per cento, loro hanno iniziato il loro mandato con un deficit al 3. Hanno dovuto proseguire una fase di recupero con una economia già in buona ripresa e una occupazione più solida. Nel più grave momento della crisi, nel 2013, che ha coinciso, lo ricordo bene, con la mia entrata al governo Coelho, la disoccupazione era al 17 per cento: quando Costa è arrivato era già sotto il 10 e ora è al 6”.

 

Antonio Costa, contrariamente a quanto forse sarebbe successo in altri paesi europei in cui la discontinuità politica si deve dimostrare con una qualche prova del fuoco, come una riforma azzardata magari priva di coperture economiche, ha il merito di aver proseguito nella politica fiscale e di risanamento con grande disciplina, perfino troppa, salvo qualche concessione ai dipendenti statali, bacino elettorale indiscusso. “Costa ha preferito proseguire un recupero economico più rapido facendo tagli importanti sugli investimenti pubblici, troppi. L’investimento pubblico del governo Costa è stato il più basso della storia della democrazia portoghese. Più basso anche del periodo più nero della troika. I servizi pubblici e le infrastrutture ne stanno risentendo moltissimo”. Poi ci sono altre criticità, come la competitività a livello nazionale: “Il più grande successo della prima fase di risanamento complessiva del Portogallo è stato l’abbattimento del deficit esterno, che ci rendeva molto deboli e troppo vulnerabili alle crisi internazionali – spiega l’ex ministro – Sfortunatamente però stiamo ricominciando a fare deficit esterno. Questo significa che, nonostante i passi avanti, non siamo ancora riusciti a cambiare in modo sufficiente la nostra economia per renderla più competitiva. Dobbiamo fare più riforme su questo. Ci basiamo troppo su turismo e settori a basso valore aggiunto che creano lavoro, certo, ma di scarsa qualità e con bassi salari. Lo stipendio medio portoghese è troppo vicino al salario minimo”.

 

Un altro merito di Costa è stato quello di non toccare il cosiddetto Jobs act portoghese (chiave di volta nel recupero sul numero di occupati) e di alzare gradualmente il salario minimo, senza ripercussioni negative sul mercato del lavoro. E’ un merito che anche “l’avversario” Poiares Maduro ammette senza problemi. Tirando le somme, il tema dello stipendio medio sembra essere il vero sintomo di una economia che va cambiata con ancora più coraggio. E quindi, niente miracolo portoghese? “Il Portogallo ha fatto dal 2011 uno sforzo enorme, indiscutibile. Una situazione terribile trasformata in un serio risanamento dei conti. Ma non è un miracolo, per almeno tre ragioni. Primo: il debito pubblico continua a essere molto alto. Non solo quello pubblico, ma anche quello privato. Secondo: ci vuole una crescita sostenibile. La nostra è una economia debole che converge con una economia europea stagnante, ma siamo comunque tra i paesi europei che sono cresciuti meno. Terzo problema: il Portogallo, come l’Italia, ha un sistema-paese di estrema fragilità e una nuova crisi economica diffusa a livello internazionale potrebbe avere un impatto molto più forte che in altri paesi dell’Eurozona”. Insomma, per i miracoli veri, in Portogallo, si stanno ancora attrezzando.

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