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L'assalto alla diligenza di Sánchez

Redazione

Per fare il governo, il leader spagnolo potrebbe essere costretto a troppe concessioni

Pedro Sánchez, presidente facente funzioni del governo spagnolo e leader del Partito socialista (Psoe), ha fallito ieri il primo voto di fiducia per ottenere la riconferma alla guida del governo, dopo che le elezioni di fine aprile hanno dato il suo partito come vincitore, ma senza la maggioranza assoluta. Finora va tutto come Sánchez aveva previsto: il primo voto di fiducia richiede che il governo sia approvato a maggioranza assoluta, e Sánchez questa maggioranza non l’avrebbe nemmeno con l’appoggio di tutti i suoi alleati. 

 

Giovedì si terrà il secondo voto, dove i requisiti per la maggioranza sono più bassi, e qui cominciano i problemi: per mesi Sánchez è stato convinto di poter contare sull’appoggio di Podemos (nome completo: Unidas Podemos) e di tutta una serie di partitini regionali per dare vita a un governo di minoranza guidato dai socialisti. Tuttavia, seguendo l’esempio di Pablo Iglesias, leader di Podemos, i partiti alleati hanno cominciato ad avanzare richieste. Podemos vuole entrare nell’esecutivo e vuole avere ministeri pesanti, a partire da quello del Lavoro (caro anche al M5s italiano). I baschi, alleati fedelissimi di tutti i governi dell’ultimo decennio (e per questo sempre ricompensati), ieri a sorpresa si sono astenuti perché anche loro sperano di aprire negoziati. Compromís, partito valenciano, ha detto che Sánchez deve essere più “flessibile e generoso”. Erc, partito catalano indipendentista di sinistra, ha detto che sosterrà Sánchez soltanto se farà il governo con Podemos. Insomma, è cominciato l’assalto alla diligenza socialista.

 

I partiti questuanti sperano che Sánchez, per la pressione di fare il governo, ceda prima di loro. In parte ha già ceduto, accettando di far entrare Podemos nell’esecutivo (ma non il leader Iglesias). Questo rischia di spostare la Spagna sempre più lontano da quella moderazione di cui Sánchez era sembrato un valido esponente, almeno in sede europea. Ma sono proprio i partiti che adesso avanzano pretese quelli che, stando ai sondaggi, avrebbero più da perdere in caso di nuove elezioni.