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Psicodramma Sánchez

Eugenio Cau

Il leader socialista spagnolo ha perso il voto di fiducia tra l’incredulità di tutti. Probabili nuove elezioni

Milano. La parola che descrive meglio il fallimento del voto di fiducia per la formazione del governo in Spagna è incredulità. Non ci volevano credere gli analisti politici, che da mesi pronosticavano per il socialista Pedro Sánchez una strada facile verso la Moncloa, il palazzo presidenziale di Madrid. Non ci voleva credere Sánchez stesso, anche lui convinto che tre vittorie sontuose in due mesi (alle politiche di fine aprile, alle europee e alle locali di fine maggio) sarebbero state sufficienti per dargli il sostegno necessario a governare, almeno in minoranza, almeno con un voto di fiducia in seconda battuta, quando per diventare premier bastano più sì che no. Non è bastato: Sánchez ha ottenuto 124 sì, 155 no e 67 astensioni. Non ci volevano credere nemmeno le forze che hanno impedito a Sánchez di formare il governo, e questo è l’assurdo finale.

 

Il grande ostacolo alla formazione del governo è stato il mancato accordo tra il Partito socialista (Psoe) e Unidas Podemos. C’era sintonia sul programma e sulle strategie, ma non sulle poltrone. Podemos voleva il controllo totale delle politiche sul lavoro, Sánchez non era pronto a cederlo. Così, per una questione di nomine, il leader di Podemos Pablo Iglesias ha fatto astenere i suoi, facendo fallire il voto di fiducia. Ma lui stesso non ci voleva credere, com’è possibile che questo governo che sembrava fatto ormai da mesi adesso si stia sgretolando sotto ai nostri occhi? Prestando poca attenzione al protocollo, Iglesias ha usato le sue dichiarazioni di voto alle Cortes per tentare un ultimo giro di contrattazioni: rinunciamo al ministero del Lavoro, ma dateci in cambio alcune politiche di previdenza sociale, ha detto Iglesias dagli scranni del Parlamento, scambiando un momento solenne per un incontro a porte chiuse. Quella stessa incredulità l’avevano le forze minori che si sono astenute bloccando la nascita del governo. Gabriel Rufián, leader di Erc, formazione catalana di sinistra, si è chiesto prima del voto: “Per quanti anni la sinistra continuerà a pentirsi di quello che sta succedendo oggi?”.

 

Aitor Esteban, leader del Partito nazionalista basco, astenuto anche lui, ha detto: “Questo è il mondo al rovescio. Io nutrivo la speranza che la pressione sociale avrebbe favorito l’investitura, alla fine”. Insomma, mentre le destre (Partito popolare, Ciudadanos, Vox) applaudivano deliziate, le sinistre hanno consumato in Parlamento e in diretta il proprio psicodramma collettivo.

 

Secondo quello che dice la Costituzione spagnola, in teoria Sánchez ha ancora tempo per racimolare alleati. A partire dal fallimento del voto di fiducia di oggi, ha 60 giorni di tempo per i negoziati tra i partiti e per nuove consultazioni davanti a re Felipe. Se a settembre Sánchez presenterà al re un piano di governo credibile, il capo dello stato gli conferirà ancora una volta l’investitura, e la giostra riprenderà a girare: nuovi negoziati, nuovi voti di fiducia. Sánchez potrebbe trovare un accordo con Podemos, oppure potrebbe convincere i centristi di Ciudadanos, che ieri hanno votato no, a sostenerlo. Questo sarebbe il governo ideale per tutti i liberali che guardano alla Spagna come àncora di stabilità europea, avrebbe la benedizione di Macron e della Merkel, e Sánchez stesso ha fatto capire più volte che non vedrebbe l’ora. C’è un problema: Albert Rivera, leader di Ciudadanos, da mesi è molto risoluto nel voler rimanere nel campo del centrodestra, e finora non si è mai smosso di lì.

 

Ma Sánchez potrebbe anche dire al re che non c’è modo di formare l’esecutivo e, in assenza di altri candidati papabili, si tornerebbe a elezioni. Senza un accordo, il 24 settembre prossimo re Felipe scioglierà le Cortes e indirà elezioni per il prossimo 10 novembre.   

 

Un’altra investitura o nuove elezioni? Alle condizioni attuali sta a Sánchez decidere e, a giudicare dalle dichiarazioni rilasciate ieri dal leader socialista, tutte concentrate sull’addossare la colpa del fallimento a Pablo Iglesias, la via privilegiata potrebbe essere quella del voto. Anziché cercare di rammendare i rapporti ormai compromessi con Podemos, e davanti alla difficoltà di convincere Ciudadanos, Sánchez potrebbe fare la scommessa politica più grande della sua vita e sperare di migliorare il 28 per cento ottenuto ad aprile. Per ora i sondaggi danno il Psoe in forte ascesa, ma sono sondaggi ancora influenzati dalla luna di miele dei successi primaverili, e non si può escludere che il fallimento di ieri costituisca un danno grave per la leadership di Sánchez. Alle elezioni di aprile le destre erano arrivate a una ventina di seggi dalla maggioranza assoluta, e con le sinistre litigiose e allo sbando non è impensabile che al prossimo giro la ottengano.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.