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Nella settimana degli schizzinosi ci sediamo sulla panca con Ursula

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Ognuno ha un buon motivo per non dare il proprio sostegno alla ministra della Difesa tedesca, o almeno così vuole far credere. Intanto si regolano i conti

Ce la fa o non ce la fa? Questa è la domanda che si rincorre a Strasburgo, mentre si intercettano sguardi e indiscrezioni sulla charme offensive di Ursula von der Leyen, candidata alla presidenza della Commissione europea in attesa della conferma dell’Europarlamento. C’è chi spera di affossarla per dare un colpo al cuore franco-tedesco che ha guidato e determinato la scelta della von der Leyen: mettersi di traverso è l’unico modo di contare, ora. Così si è aperta – con le prime dichiarazioni pubbliche ieri della von der Leyen da quando è stata nominata – la settimana degli schizzinosi: ognuno ha un buon motivo per non dare il proprio sostegno alla ministra della Difesa tedesca, o almeno così vuole far credere, perché in realtà si tratta di un misto di risentimento e di vendetta. I calmi dicono che, alla fine, gli schizzinosi faranno quel che sembra più naturale, cioè sosterranno la candidata conservatrice tedesca, ché si sa che in questo momento ogni fragilità che trapela diventa in un attimo fuoco amico. Ma l’allarmismo è alto, procede di pari passo con lo scetticismo e con le critiche: prepariamoci a giorni di nasi arricciati. L’effetto per ora non è un granché, bisogna ammetterlo, ma noi intanto ci sediamo sulla panca dei calmi, che c’è spazio.

Resa dei conti /1 – i parenti. Il conservatorismo finisce sulla copertina dell’Economist tutto sbeccato: le destre estreme lo stanno distruggendo, dice il settimanale britannico. E poi, come è accaduto in Francia, prendono la scopa e cercano di mettere tutti i cocci sulla paletta, e portarli a casa propria: non si butta via niente. La nipotina Le Pen Marion Maréchal, formalmente fuori dalla vita politica e ritirata nella sua scuola di formazione sovranista a Lione, non fa che vedere esponenti dei Républicains, perché è convinta che le “destre popolari” debbano mettersi insieme. Il Rassemblement national della zia, Marine Le Pen, non vede di buon occhio questo attivismo: i balli li guidiamo noi, dicono. Così il compagno di Marine, Louis Aliot, ha detto: facci sapere, cara nipotina, che intenzioni hai, e fallo subito perché “la politica è impegnarsi con gli elettori, non soltanto parlare”. Aliot nega che ci siano dissapori familiari, e mentre il Figaro parla del “tabù Marion” presso il Rassemblement national, gli altri cercano di capire che ascendente ha davvero Marine su Marion, e viceversa. Non che ci sia particolare attenzione per la saga familiare, è che presidiare questa destra non è un affare semplice. Continuano a nascere iniziative autonome e collaterali, parecchio fastidiose: a furia di mangiarsi l’uno con l’altro, non resta niente.

Resa dei conti /2 – Danzica. Il PiS, il partito che governa la Polonia dal 2015 e che alle elezioni europee ha ottenuto più del 40 per cento dei voti, non riesce a capire perché esistano delle roccaforti nella nazione che sembrano inespugnabili, attaccate con passione ai partiti di opposizione, di votare PiS non ne vogliono sapere. Una di queste è Danzica, città ferita, città portuale, città battagliera. Da anni il Po, il partito di Donald Tusk, continua a vincere, l’ex sindaco di Danzica, Pawel Adamowicz, ucciso a gennaio durante un evento di beneficenza, era stato rieletto più e più volte e, dopo la sua morte, gli elettori hanno scelto Aleksandra Dulkiewicz, sempre del Po. Di votare PiS non ne vogliono proprio sapere gli abitanti di Danzica, immersa ancora nell’aria del Solidarnosc, e il partito di governo è giunto alla conclusione che il problema è degli elettori che non capiscono le necessità della Polonia, non sono abbastanza polacchi, altrimenti questa passione per il Po, agli occhi del PiS è inspiegabile. E’ iniziata una campagna di diffamazione, che parte dalla storia e arriva alla politica, e nel gioco delle conclusioni affrettate che ben riesce ai populisti di ogni colore hanno decretato che gli abitanti di Danzica non sono abbastanza polacchi. Sono “traditori”, sono “tedeschi”, e combattono “contro la Polonia”. “Ma perché i polacchi che abitano a Danzica – si domandava su Facebook già qualche anno fa la deputata del PiS Krystyna Pawlowicz – acconsentono a queste dimostrazioni non leali e antipolacche contro la patria? Abitano ancora dei polacchi a Danzica?”. Alcuni editorialisti hanno rincorso le parole e gli istinti del governo, aiutando a fabbricare una bizzarra cultura del complotto. Il settimanale Sieci a febbraio pubblicava un reportage che aveva l’obiettivo di rispondere alla domanda: “Perché l’opposizione coltiva la tradizione della città libera di Danzica”, e in copertina, tra le facce di Tusk, Adamowicz e Dulkiewicz: “Danzica vuole tornare tedesca?”. Anche il sito wpolitice.pl ha seguito la stessa strada del settimanale e ha pubblicato una serie di articoli per dimostrare che Danzica è una città antipolacca, che nega la storia e vota contro il PiS perché le esigenze della nazione non sono le sue. A ottobre ci saranno le elezioni, la campagna elettorale del partito di governo si è aperta, o forse non è mai finita, e vista da Danzica, che già è stata ferita dall’odio, sembra proprio bruttina.

 

Resa dei conti /3 – i monopattini. I danesi ci hanno messo poco a stufarsi dell’invasione (questa vera) dei monopattini e così hanno cominciato ad arrestare chi non si comporta bene, cioè chi guida in stato di ebrezza. Ventotto arresti, domenica scorsa, a Copenaghen: si rischiano 500 euro di multa e la prigione per i recidivi. Pare che altri sindaci ci stiano pensando (a Parigi di sicuro).

 

“Non preoccupatevi per me”. Angela Merkel ha tremato per la terza volta, ieri. Dice di stare tranquilli: ci proviamo.