Jean-Claude Juncker e Donald Trump (foto LaPresse)

Ma quale Ue “brutale”

David Carretta

Trump dice che Bruxelles tratta male lui e il Regno Unito, ma il rinvio della Brexit è una dimostrazione d’amore

Bruxelles. Donald Trump sembra avere una considerazione dell’Unione europea e della sua forza molto più alta di quanto ne abbiano cittadini e responsabili politici europei. “E’ un peccato che l’Ue sia così dura con il Regno Unito e con la Brexit”, ha twittato ieri il presidente americano, dopo che i leader dei 27 hanno concesso a Theresa May una proroga fino al 31 ottobre per tentare di uscire dal caos politico in cui si è infilata a Londra e, dunque, anche dal club europeo. “L’Ue è anche un partner commerciale brutale con gli Stati Uniti, e questo cambierà. A volte nella vita devi far respirare le persone prima che si rivoltino e ti morsichino!”, ha scritto Trump. Da questo lato dell’Atlantico in pochi sarebbero pronti a qualificare l’Ue come un bruto che impone un liberoscambismo predatorio alla superpotenza americana o una Brexit punitiva all’ex Impero di Sua Maestà. Tra divisioni, indecisioni e ingenuità, l’Europa è percepita come la parte debole della globalizzazione e delle grandi trasformazioni di questo secolo. E’ Venere contro Marte. E’ la vittima predestinata della Perfida Albione. L’impressione è stata data anche all’inizio del Vertice Brexit. Emmanuel Macron voleva una proroga fino a giugno per mettere pressione su May e sul Labour. Angela Merkel voleva un rinvio fino al 2020 per evitare i rischi di un no deal. In minoranza, il presidente francese ha ceduto un po’ e ottenuto un po’: la Brexit prima del 31 ottobre non intaccherà la prossima Commissione e May si è impegnata a non mettere bocca nelle decisioni sul futuro dell’Ue. In maggioranza, la cancelliera tedesca si è assicurata che tutte le opzioni restino sul tavolo: deal, no deal, revoca e perfino una terza proroga a ottobre.

  

  

Trump è arrabbiato perché Jean-Claude Juncker lo scorso luglio è riuscito a raggirarlo: con un paio di trucchetti – l’offerta di negoziati su un accordo di libero scambio sulle merci e la promessa di un aumento delle importazioni di soia americana (che comunque sarebbero aumentate per ragioni di prezzo) – il presidente della Commissione ha frenato la furia trumpiana sui dazi contro le auto europee. Ma, contrariamente a quel che pensa Trump, il Regno Unito ha ottenuto un trattamento molto favorevole nei negoziati Brexit: l’accordo di ritiro è un pacchetto equilibrato a beneficio di entrambe le parti, compreso il contestatissimo backstop irlandese che funge da paracadute a una hard Brexit grazie all’unione doganale. E, contrariamente alla narrativa di Trump, l’Ue non vuole impedire al Regno Unito di andarsene. Con la proroga al 31 di ottobre ha voluto evitare di schiacciare il bottone del no deal, lasciando ai britannici la responsabilità di buttarsi dal precipizio. Semmai, malgrado la “Brexit fatigue”, i 27 hanno ottime ragioni per non cacciare il Regno Unito.

 

 

Al Vertice della scorsa notte, un gruppo di paesi era preoccupato soprattutto dalle ripercussioni economiche del “no deal”. La Germania per le sue esportazioni. L’Olanda, il Belgio, la Svezia e la Danimarca per il loro ruolo di hub da e verso il Regno Unito. L’Irlanda perché l’uscita senza accordo del grande vicino potrebbe produrre un crollo del pil del 4 per cento. Ma, al di là della pitoccheria, l’Ue non vuole buttare fuori i britannici perché senza di loro sarebbe molto più debole nel mondo e molto meno equilibrata al suo interno. Il Regno Unito è composto da 60 milioni di consumatori, è la quinta economia al mondo, è la più importante piazza finanziaria globale, è un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu, è una potenza diplomatica e militare, è il deterrente nucleare, è un membro del G7, è l’epicentro del Commonwealth, è l’altra gamba della Special relationship con l’America. Con la proroga a ottobre “forse possiamo evitare che il Regno Unito esca dall'Ue. Questo ovviamente non è il mio ruolo, ma è il mio sogno personale”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Per i polacchi, i baltici e gli scandinavi, il Regno Unito è il supplente dell’America di fronte alla minacciosa Russia. I tedeschi sanno che, senza l’economia britannica, l’Ue sarebbe meno efficace di fronte al protezionismo di Trump. Perfino i francesi – che con Londra hanno strette relazioni bilaterali fatte di intese cordiali e rivalità golliste – sono consapevoli dell’utilità di Londra per proteggersi dalla Cina. Dentro all’Ue, poi, il Regno Unito è il contrappeso all’asse franco-tedesco. Per i paesi del nord e dell’est, ma anche per l’Italia, Londra serve a frenare il centralismo anti liberale e gli istinti dominatori di Parigi e Berlino. Di proroga in proroga, il messaggio è l’opposto di quello inteso da Trump: cari cugini britannici, se fate così fatica a imboccare la porta d’uscita, non saremo noi a spingervi fuori.

David Carretta