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Che cosa vogliono ora i brexiteers? Non lo sanno più

Gregorio Sorgi

Perché nel Regno unito i pro Brexit si limitano a sperare solo in un premier che sia uno di loro

Roma. I brexiteers più accaniti non ammetteranno mai che la proroga concessa dall’Unione europea al Regno Unito fino al 31 ottobre – che loro stessi definiscono “un’umiliazione” – è anche colpa loro. Se avessero votato compatti a favore dell’accordo della May, oggi probabilmente sarebbero fuori dall’Ue. Invece le ipotesi a cui si trovano di fronte gli euroscettici sono molto poco allettanti: un accordo tra il Labour di Jeremy Corbyn e Theresa May, oppure la partecipazione alle elezioni europee del 26 maggio e, probabilmente, un’ulteriore proroga dopo il 31 ottobre. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha chiarito che la dilazione concessa mercoledì notte potrebbe non essere l’ultima. L’uscita senza accordo, che per mesi era stata in cima alle preferenze dei brexiteers, non è più una possibilità. Il Parlamento britannico è contrario al no deal – è una delle poche cose su cui si trova una maggioranza – e la gran parte dei paesi europei, con l’eccezione della Francia, vogliono evitare a ogni costo un’uscita senza accordo del Regno Unito.

 

L’unica speranza per evitare le elezioni europee è approvare un’intesa bipartisan tra la May e Corbyn entro il 22 maggio. Una missione quasi impossibile, come ha ammesso il ministro dell’Economia ombra John McDonnell, uno degli uomini più vicini a Corbyn. Le trattative proseguono a rilento, i due partiti non si allontanano dalle loro posizioni e come se non bastasse i deputati remano contro. I brexiteers conservatori promettono una ribellione di massa in caso di un accordo con “quel marxista di Jeremy Corbyn”, come lo chiamano loro. “I laburisti vogliono restare nell’unione doganale, e per noi significa rimanere intrappolati nell’Unione europea”, spiega al Foglio l’ultra brexiter Mark Francois. I laburisti, dal canto loro, non hanno intenzione di fare grandi concessioni alla May. Gran parte dei deputati del Labour sogna un secondo referendum e vive con un certo disagio le trattative con la delegazione dei conservatori. A differenza della May, a Corbyn non dispiacerebbe affatto partecipare alle elezioni europee: i sondaggi proiettano il Labour come primo partito, e potrebbe eleggere decine di europarlamentari, più di ogni altra formazione di centrosinistra in Europa. Invece, i conservatori sono indietro nei sondaggi (al 23 per cento, secondo Open Europe) e la May non ha ancora chiarito se farà campagna elettorale.

 

I Tory stanno perdendo voti a favore di Nigel Farage, che è tornato alla carica con la sua nuova creatura politica, il Brexit Party. L’ex leader dell’Ukip ha annunciato di volere trasformare le elezioni europee in nuovo referendum sulla Brexit, e non è l’unico. Sulla sponda opposta, gli europeisti di Change Uk, un partito fondato alcuni mesi fa da alcuni fuoriusciti dal Labour e dai Tory, sono gli unici a battersi per un secondo referendum. Invece, non è chiaro cosa diranno i conservatori in campagna elettorale. Le fazioni dei Tory sono in guerra tra di loro, e ognuna ha un obiettivo diverso: la minoranza europeista vuole il “people’s vote”, gli alleati della May vogliono uscire con un accordo, gli euroscettici promettono battaglia contro Bruxelles. Il piano dei brexiteers, che non riconoscono fino in fondo la legittimità di questo voto, è di infiltrarsi nelle istituzioni europee per impedirne il funzionamento. “Verranno eletti molti deputati euroscettici in Gran Bretagna – dice Francois – Vogliamo creare una minoranza di blocco a Bruxelles, per ostruire il progetto federalista di Macron”. La teoria è di spazientire i leader europei il più possibile, per convincerli a fare uscire la Gran Bretagna alla scadenza della proroga.

 

Ma questo progetto, che i brexiteers rivendicano con un certo orgoglio, non è praticabile. A Bruxelles le leggi vengono approvate a maggioranza, quindi è impossibile creare una “minoranza di blocco”. Questo in teoria sarebbe plausibile al Consiglio europeo, dove il Regno Unito è rappresentato da Theresa May, che ci penserà due volte prima di fare un torto ai partner europei. La strategia potrebbe funzionare solo con un brexiteer duro e puro, che non ha problemi a uscire dall’Ue senza accordo. Quindi, l’ultima speranza per i conservatori euroscettici è quella di sostituire Theresa May con uno di loro, che potrebbe essere Boris Johnson o, più realisticamente, Dominic Raab. Ma la premier non può essere messa in discussione fino a dicembre. L’incauta mozione di sfiducia convocata e poi bocciata dai parlamentari conservatori lo scorso dicembre le ha dato un’immunità di 12 mesi, privando i suoi avversari anche di questa alternativa.