Donald Trump (Foto LaPresse)

Trump vuole costruire un campo da golf in Scozia (per barare anche lì?)

Giuseppe De Filippi

Proteste e polemiche prima della visita del presidente americano nel Regno Unito

Il consiglio dello Aberdeenshire doveva decidere in questa settimana, ma non si sa ancora se abbia scelto un rinvio o si sia rifugiato nella versione locale del “salvo intese”. Perché c’era da stabilire se dare o no seguito alla petizione, firmata da 200 cittadini, per contestare i diritti di costruzione di un campo da golf e di tante villette cui si aggiungono due villone (prezzate sopra al milione di sterline) e un buon numero di negozi alla società di Donald Trump. Lui però arriva a giorni, e ai panni dell’immobiliarista aggiunge quelli di presidente degli Stati Uniti, dal 3 al 5 giugno sarà ospite della regina, e il consiglio locale si sente un po’ intimidito.

 

Siamo nel folle mondo rovesciato di Trumplandia. Primo perché andare a fare campi da golf in Scozia, dove the game è nato e dove tuttora si fissano e aggiornano le regole per mezzo mondo, è un’iniziativa quasi provocatoria, come se fosse andato a produrre mozzarelle a marchio Trump a Battipaglia o, vedete voi, a fare tappeti a Teheran, e dicendo – sia per le mozzarelle sia per i tappeti – che i suoi prodotti sbaragliavano la concorrenza. Perché Trump dice che il campo da lui creato in Scozia è il più bello che esiste e che ci si dovrebbe disputare l’Open Championship, cioè la gara più importante in assoluto (sì ce ne sono altre tre alla pari, ma non è una vera parità), che ruota da più di 150 anni tra cinque campi storici e non c’è nessuna intenzione da parte delle autorità golfistiche di dare seguito alla richiesta, pure se provenisse dalla Casa Bianca. Che poi in passato gli aberdeeniani avevano vinto, in una vicenda che li aveva contrapposti a Trump e che assomiglia, ma al rovescio, a recenti fatti italiani.

 

Nel 2012 venne deciso di piazzare una selva di gigantesche pale eoliche proprio nel tratto di mare davanti al campo di Trump. L’allora amico e finanziatore di presidenti – ma non presidente – tentò una causa, ma perse. Con un esito finale che oggi ci manderebbe in confusione. Con gli ecologisti prima sconfitti per le dune spianate e poi riusciti a piazzare, sia pure indirettamente, il colpo della vendetta con le pale rotanti dell’energia pulita sulla testa di Trump, e lui, beffato anche come favorevole al petrolio, ma poi amico di Steve Bannon che, anni dopo, a presidenza conquistata e amicizia persa, arriva in Italia scortato dall’uomo delle pale italiane, Federico Arata; e, tornando in Scozia, il tentativo di pressioni politiche non per farle mettere le pale ma per farle togliere, che non riesce e lascia il presidente col colpo d’occhio sul mare rovinato.

 

Ora forse costruirà le sue villette e sconfiggerà gli aberdeeniani che però si divertono da matti a strillargli contro in manifestazioni improvvisate a bordo campo, proprio mentre Donald gioca e a sottolineare con risate e buu i colpi che è costretto a tirare sotto i loro occhi. E grazie alla mancanza di alberi delle coste scozzesi potranno aggiungere altre perle alle tante immagini che già documentano, come da recentissimo libro, le attività del Commander in Cheat, del “Generale Imbroglio”, specialista nelle scorrettezza sul campo da golf. Se ne vedono di stupende in rete, a partire dal guizzo della mano presidenziale che fingendo di andare a raccogliere la pallina in buca in realtà dà ad essa la manata giusta per mandarla a segno dopo un colpo sbagliato con la rapidità, oltre che con la pettinatura, di un Silvan del green. O ai ricordi strappati a chi lo ha seguito in campo ribattezzandolo Pelé per l’abitudine di dare calci alla palla per renderla giocabile quando la trova in condizioni non ottimali. E regalando uno slogan che già gira in rete: let’s play the ball where it lies in 2020. E’ la regola base del golf: la palla si gioca come si trova (e non si modificano neanche le condizioni esterne del campo). Ed è perfetta per mandarlo via dalla Casa Bianca.

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