Foto di Thierry Ehrmann via Flickr

Parlare (ancora) del presidente russo, ce n'è proprio bisogno? Sì, con un altro occhio

Micol Flammini

Sembrava impossibile da scrivere, irrispettoso da leggere, e invece no. Il libro di Mark Galeotti, esperto di politica russa, prova a spiegare chi è davvero Putin per riuscire a capire come affrontarlo

Un libro fresco su Vladimir Putin, sembrava impossibile da scrivere, irrispettoso da leggere, e invece no. A ben guardare forse abbiamo esagerato, perso l’orientamento e sarebbe meglio seguire l’invito che Mark Galeotti fa a tutti noi, allarmisti occidentali, con il suo nuovo libro che esce oggi, “We need to talk about Putin”. E allora va bene, parliamo di Putin, ne abbiamo bisogno, come dice l’esperto di politica russa, docente della Jean Monnet e dello European University Institute e ricercatore dell’Istituto di relazioni internazionali di Praga. Ne abbiamo bisogno soprattutto per capire che stiamo perdendo il punto di osservazione giusto, che il capo del Cremlino è sì il presidente di una nazione potente e ingombrante, ma bisogna sfatare un po’ di miti per riprendere in mano le redini del nostro rapporto con Mosca. Il libro è diviso in undici capitoli, brevi, in cui si alternano dati e aneddoti, aneddoti e dati. Vengono presentati gli amici di Putin, si scivola dentro la sua vita e si capisce che no, Vladimir Putin non è un cattivone da film di spionaggio, non è un monolite fatto di stereotipi, il Kgb, il petto nudo, la tigre, il judo. Il capo del Cremlino è molto di più, è pieno di sfumature, è un essere umano e, se si ricompongono i pezzi sottili, uno a uno, di questa personalità, allora forse si può anche riuscire a capire come affrontarlo.

   

Secondo Galeotti, per capire Putin bisogna prima capire la Russia, incastrata in quell’età che Ivan Krastev e Stephen Holmes hanno definito “l’età dell’imitazione”: quel periodo che si perpetua dal 1991, da quando, crollata l’Unione sovietica, collassato un sistema titanico e soffocante, i politici non sono stati in grado di far nascere una politica nazionale nuova. Tutto si ripete, questa non è la nuova Russia, ma la parte finale della storia sovietica, l’ossessione di Mosca per l’Ucraina e la Bielorussia ne sono un esempio. L’idea di questo eterno ritorno si riflette anche nella struttura statale e Mark Galeotti dedica molta attenzione a uno dei tasselli più famosi dello stato russo: lo spionaggio. Gorbaciov e Eltsin, ossessionati dai generali e dalle loro stesse spie, hanno suddiviso il Kgb in varie unità, per controllarlo meglio. Putin ha dato molto potere ai suoi servizi di intelligence, forse troppo, e anche troppi privilegi se si guardano i fatti di Salisbury. Tra le agenzie di spionaggio, soprattutto all’interno del Gru, l’intelligence militare, ci sono fratture e lotte intestine, gli uomini competono per arrivare il più possibile vicino all’orecchio di Putin, sussurrare, consigliare, sobillare. L’altra categoria che balla attorno al presidente, che cerca di sedurlo e irretirlo sono gli oligarchi che per corromperlo non utilizzano segreti di stato e militari da bisbigliare al presidente, lo comprano con un’altra arma, il denaro. Pioggia di denaro.

     

Galeotti, parlando di Putin, vuole farci capire che non ci sono piani, non c’è un disegno, non ci sono macchinazioni per conquistare il mondo e russificare l’universo (bisogna tener presente che Galeotti è tra i pochi esperti di Russia che sostiene che le interferenze russe hanno contato poco nell’elezione di Donald Trump), l’unico interesse di Putin è il suo potere. Non ne può fare a meno e finora è soltanto stato fortunato, e anche bravo nel ricreare una retorica nazionale che i russi avevano perso, ne sono fieri, e gli dimostrano la loro gratitudine rimanendogli fedele.

   

Ma se esiste il putinismo è perché è Putin che lo ha creato, e tutti, russi, europei, politici e giornalisti, hanno deciso di credere nel mito senza andare oltre. La verità, per quanto noiosa ci possa apparire, dice Galeotti, è che è un uomo molto più grigio di quello che ci ha lasciato credere. Privato del suo superomismo, al di là delle immagini dell’uomo che pesca nella neve, che uccide a mani nude orsi e tigri, al di là del judoka e del giocatore di hockey che non perde mai, c’è un autocrate un po’ imbolsito che si è intestardito nella volontà di trasformare la Russia in una grande potenza e di imporre ai paesi occidentali di rispettarla come tale. Questo era il grande sogno di Vladimir Putin all’inizio del suo mandato e non si può dire che non sia riuscito, in parte, a vendere l’immagine di una nazione minacciosa. Ma le cose sono cambiate, Putin è cambiato e anche le sue aspirazioni. Era la Russia e ora vuole soltanto essere il potere.

 

Prima o poi ci sarà un dopo Putin e il libro non fornisce risposte. C’è chi crede che il presidente cambierà la Costituzione per assicurarsi un altro, il quinto mandato, chi vagheggia che possa annettersi la Bielorussia così da creare una nuova entità statale, diventare di nuovo presidente senza violare la Costituzione. Per Galeotti sarà la traiettoria della storia a decidere, che è orientata, nella mentalità delle élite russe, molto più a occidente di quello che crediamo. Per cui rimane da chiedersi a chi non piacerà questo libro, se ai putiniani che lo accuseranno di vendere un’immagine sbiadita e poco lusinghiera del capo del Cremlino. O forse agli antiputiniani che si sentiranno un po’ derisi per i loro allarmismi.

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