(Foto LaPresse)

Un piano per la Brexit più bella

Gregorio Sorgi

“Conservatori e laburisti insieme per un’uscita soft. Così si batte la marmaglia populista”, ci dice Ken Clarke

Theresa May dice che esistono solo due possibili scenari: o il mio accordo, o nessun accordo. In realtà, la questione è più complessa. Il Parlamento boccerà l’accordo, e dal giorno dopo si dovranno cercare delle convergenze con i laburisti. Questa è l’unica strada”. Ken Clarke, il grande vecchio della politica inglese, traccia scenari parlando con il Foglio nel suo studio di Westminster. Clarke è un conservatore atipico: un fiero centrista, antithatcheriano, ultraeuropeista, e leader mancato dei Tory (ha perso tre primarie: nel 1997, 2001, 2005). “The Big Beast”, così viene soprannominato per via della stazza, è un po’ come il grillo parlante dei conservatori: avverte i pericoli, smussa gli angoli, e dice quello che pensa.

 

Stiamo correndo il rischio di un no deal per sbaglio – dice Clarke – Sono pochi i deputati in Parlamento che non vogliono un accordo. Ma i partiti sono frantumati in diverse fazioni e dubito che si trovi una maggioranza in Parlamento per un accordo. Questo ci farebbe scivolare verso il 29 marzo senza un’intesa: una catastrofe. Penso di sostenere l’accordo attuale, che non è molto buono, ma almeno lascia tutto com’è fino alla fine del periodo di transizione, che spero possa essere prolungato. Non c’è alcuna possibilità di negoziare l’accordo finale entro dicembre del 2020.”

 

Anche i brexiteers vogliono una proroga per negoziare un accordo meno compromissorio con l’Europa. “A me invece piacerebbe una Brexit ancora più soft, la mia preferenza sarebbe quella di rimanere nell’unione doganale e nel mercato unico.” I toni si irrigidiscono quando si parla dei brexiteers: il voto contrario potrebbe spingere il paese verso nuove elezioni? “E’ una possibilità molto remota. Abbiamo cambiato la legge sette anni fa: il Parlamento ha una scadenza fissa a meno che due terzi dell’Aula non voti a favore di un’elezione anticipata. I brexiteers non temono nuove elezioni, e hanno ragione. Gli euroscettici hanno un fervore religioso, sono fanaticamente a favore dell’allontanamento dall’Europa. Sono pronti a dividere il partito, o a convocare nuove elezioni, se pensano di ottenere ciò che vogliono. L’ipotesi di elezioni anticipate è una minaccia per convincere la minoranza conservatrice, ma non spaventerà l’estrema destra”.

  

Il deputato ed ex ministro conservatore Kenneth Clarke (Foto Wikipedia)


Però laburisti e liberaldemocratici cercheranno di convocare un secondo referendum sulla Brexit. “E’ un’ipotesi che a me non piace – afferma Clarke – Sarebbe una scommessa: polarizzerebbe l’opinione pubblica e aumenterebbe le tensioni. E il risultato sarebbe molto risicato. Ma ci sarà un tentativo di convocare una nuova consultazione”. Eppure il referendum sarebbe un modo per sbloccare l’impasse. “Non sono d’accordo, – risponde Clarke – è sbagliato trasformare le nostre relazioni con l’Europa sulla base di un pazzo sondaggio d’opinione. La campagna elettorale di un secondo referendum potrebbe essere più sgradevole del 2016, e il risultato ugualmente risicato. Se il remain vincesse con un piccolo margine, i brexiteers non accetterebbero mai il verdetto”.

 

L’ex cancelliere dello Scacchiere conservatore ci racconta (con molti aneddoti) la politica britannica dal suo ufficio a Westminster

E allora qual è la soluzione? “Una maggioranza composta da deputati di diversi partiti potrebbe trovare un accordo – dice Clarke – C’è bisogno di un grande blocco di deputati laburisti che votino a favore. L’euroscettico Jeremy Corbyn, leader del Labour, non rappresenta il suo gruppo parlamentare. Il governo avrebbe dovuto compiere prima lo sforzo di cooperare con i moderati laburisti. I deputati laburisti seguiranno Corbyn e voteranno contro l’accordo. Tuttavia, nella crisi che seguirà l’eventuale bocciatura, bisognerà costruire una maggioranza alternativa. Questo sarà possibile attraverso una Brexit ancora più soft che Corbyn non accetterà mai.”

 

I moderati del partito laburista sono più facili da convincere rispetto ai brexiteers. “Uno degli errori di Theresa May – spiega Clarke – è stato quello di aver buttato due anni a fare delle concessione ai brexiteers per tenere insieme il partito. Invece i voti da conquistare erano quelli dei blariani. La Gran Bretagna è entrata così nella Comunità europea sotto il governo del conservatore Edward Heath. I conservatori non avevano una maggioranza a favore dell’Unione europea e uno dei miei primi compiti in Parlamento fu quello di convincere i laburisti moderati a non votare contro.”

 

Ma l’eventuale accordo tra moderati conservatori e laburisti verrebbe criticato dalla base di entrambi i partiti. “Questo è il grande rischio – afferma l’ex cancelliere dello Scacchiere del governo di John Major – Se ci fosse un voto segreto tra i deputati, il 75 per cento sceglierebbe di rimanere nell’Ue, e tra l’80 e il 90 per cento sarebbe contrario al mancato accordo. Purtroppo però siamo vincolati dal nostro sistema politico e partitico: i deputati conservatori e laburisti sentono la pressione dei militanti euroscettici. I due estremi stanno esercitando un’influenza sproporzionata sugli eventi”. In caso di bocciatura della camera dei Comuni, Theresa May potrebbe restare a capo del governo. “E’ condannata a coprire l’incarico perché non c’è un successore designato. Il vincitore delle eventuali primarie sarà probabilmente più divisivo e dovrà affrontare gli stessi problemi della May. La possibilità che ci siano nuove primarie nel breve termine è un’irrilevanza, ne parlano i media perché a loro interessano le personalità politiche più che le questioni pratiche.”

 

“I brexiteers sono dei fanatici, non temono le elezioni anticipate. Il secondo referendum non risolverebbe nulla”

 E poi, in caso di riconferma di Theresa May, la mozione di sfiducia potrebbe ritorcersi contro i suoi avversari. “Sarebbe un grave errore dell’ultra destra – dice Clarke – La May potrebbe uscire rafforzata. Non so se ci sono 48 deputati (la soglia necessaria per convocare la mozione, ndr) così pazzi da mandare la lettera di sfiducia. E’ un’espressione di rabbia, e di ambizione.”

 

Se il Partito conservatore dovesse eleggere un leader di destra ci sarebbe un grande spazio per un partito di centro. “Questo è quello che dovrebbe succedere. Si parla molto di un nuovo partito di centro però ci sono pochi segni di evoluzione. Non ci sono personalità credibili per guidare questa formazione. Nel nostro sistema maggioritario è più difficile replicare ciò che Emmanuel Macron ha fatto in Francia. Tuttavia ci sono molti possibili leader del Partito conservatore che io non accetterei mai. Ovviamente rimarrei membro del partito di cui ho sempre fatto parte, ma molti conservatori se ne andrebbero via. Se il nostro partito dovesse finire nelle mani dell’ultradestra potremmo rimanere all’opposizione per decenni”.

 

Eppure a sinistra c’è Corbyn, che certo non è un moderato. “Il rischio è quello di avere il Partito conservatore guidato da un nazionalista e il Partito laburista guidato da un socialista. Entrambi i partiti non sarebbero specchio né del loro gruppo parlamentare né della maggioranza della società. Se il sistema si polarizza, l’80 per cento dell’elettorato non si sente rappresentato. Al momento manca un’alternativa, e le possibilità sono due. In molti paesi abbiamo avuto un leader di estrema destra o di estrema sinistra che si è posto come avversario dell’establishment, tipo Donald Trump o Marine Le Pen. Però l’alternativa potrebbe anche essere un partito di centro moderato, che ancora deve nascere nel Regno Unito”.

“C’è spazio per un nuovo partito di centro ma manca un leader. Se i conservatori vanno a destra, sono finiti”

 

Ci siamo sempre sentiti dire che le elezioni in Gran Bretagna si vincono al centro per via del sistema maggioritario. Eppure, entrambi i partiti si sono molto polarizzati. “La ragione è che gli attivisti non rappresentano la maggioranza dell’elettorato. I militanti laburisti sono giovani e molto di sinistra, più dell’elettore medio. Gli attivisti conservatori sono meno numericamente però tendono a essere anziani e molto di destra. Anche loro non rappresentano l’elettore medio conservatore.”

 

Clarke parla dei brexiteers con un tono critico ma paterno: li chiama per nome, predica prudenza e deride le loro fantasie. Jacob Rees-Mogg, il falco anti Brexit e leader della fronda che si oppone a Theresa May, è decisamente il figlio più problematico. “E’ un personaggio piuttosto teatrale – dice Clarke – Rappresenta lo stereotipo americano di un vecchio gentiluomo che è stato a Eton (il college dei figli dell’aristocrazia britannica, ndr). Andiamo d’accordo, è molto intelligente ma è un personaggio bizzarro e arcaico. E ha delle idee politiche che considero troppo all’antica.”

 

Michael Gove, ministro dell’Ambiente e brexiteer della prima ora, non si è dimesso dopo l’accordo della scorsa settimana. “Questo fa parte di una strategia. Michael vuole porsi come il candidato pragmatico; è un ultraeuroscettico che cerca di tendere una mano verso i remainers. E’ stata una decisione tattica”. Dominic Raab, l’ex ministro della Brexit, ha fatto la scelta opposta. “Si è dimesso perché vuole mostrarsi un brexiteer convinto; questa è stata la sua strategia per la leadership. Invece Boris Johnson e David Davies si sono dimessi troppo presto, e stanno cercando di tornare al centro della scena”. Non è stata una scelta saggia. “Si può dire lo stesso di chi si è dimesso la scorsa settimana. Se Theresa (May, ndr) riesce a sopravvivere, potrebbero tutti rendersi conto di avere fatto un enorme sbaglio. In primis, Jacob (Rees-Mogg, ndr). Non sono solo in disaccordo con questi personaggi, penso anche che non siano dei bravi politici. Sono una marmaglia populista. E Michael (Gove, ndr) si è messo in una situazione molto pericolosa: lui è il capo dei cinque ministri brexiteers che hanno deciso di non dimettersi ma hanno detto di essere d’accordo con chi si è dimesso. Dicono di volere persuadere la May a negoziare un accordo migliore ma è una posizione idiota: stanno con un piede dentro e un piede fuori dal governo ma non hanno la forza di cambiare l’accordo.”

L’unica a salvarsi è la May. Clarke ha visto passare tanti leader conservatori: qual è il tratto distintivo del primo ministro? “E’ dura e resistente – afferma Clarke – questa è la sua migliore qualità. E riesce a sopportare di tutto senza mostrare alcun segno di debolezza. Ha dovuto affrontare una combinazione di problemi maggiori rispetto a ogni altro premier nella storia recente. La May non è personalmente responsabile dei problemi che adesso deve risolvere. Vuole tenere insieme il partito e garantire una versione di buonsenso di quello per cui la gente ha votato nel referendum. In pratica è una signora conservatrice con grande senso del dovere.”

 

Dopo le dimissioni dei ministri nella scorsa settimana sembrava giunta al capolinea. “Paradossalmente, la sua posizione si è rafforzata. Dopo quella giornata da incubo, Rees-Mogg pensava che fosse giunto il suo momento e lanciava degli attacchi personali contro la May. Lei ha difeso il suo accordo ed è andata avanti. Ho l’impressione che l’opinione pubblica si sta muovendo a favore di Theresa May. Tra i cittadini c’è un’onda di simpatia nei suoi confronti: un misto di simpatia, di ammirazione e di sostegno. Ultimamente la premier ha fatto alcune delle migliori performance della sua carriera politica. Segue sempre lo stesso spartito, però è tenace e si è esibita molto meglio rispetto al passato. Lunedì ha fatto un grande discorso alla Cbi (la Confindustria britannica, ndr). Non è ancora finita, e sarebbe notevole se uscisse indenne da questo percorso”.

C’è un’ondata di simpatica per la premier May, che non è mai stata così forte. I suoi detrattori hanno fatto grandi errori 

 

A volte abbiamo l’impressione che sia sottovalutata nel suo partito e fuori. “E’ molto testarda, e questo è ottimo se sei d’accordo con lei ma è terribile se sei in disaccordo. D’altronde devi essere forte per sopravvivere sei anni come ministro dell’Interno. Tutti i primi ministri che ho visto non sarebbero stati in grado di gestire una situazione simile. Io non ho alcuna obiezione verso di lei, però non condivido in pieno la politica del governo sull’Europa. Tuttavia continuo a sostenerla.”

 

Si parla molto della giovane generazione dei conservatori che può sostituire Theresa May dopo la Brexit. “C’è la convinzione diffusa che una volta terminata la Brexit, il nuovo leader dovrà provenire da una generazione più giovane e dovrà avere un programma rivolto all’interno. Se non ci fosse la questione europea, il nostro partito sarebbe abbastanza unito nel sostenere un conservatorismo di stampo centrista. I laburisti hanno più problemi rispetto a noi: loro sono divisi sulla questione europea, ma anche su molte altre questioni. La speranza ottimistica per noi è quella di un’internazionale One Nation, un conservatorismo liberale”. Mentre pronuncia queste ultime parole Clarke si volta per dare un’occhiata malinconica al ritratto di Churchill alle sue spalle.