Per negoziare un accordo servono competenze tecniche che solo i burocrati più esperti possiedono (Foto LaPresse)

Per fare la Brexit servono gli esperti

Gregorio Sorgi

Quando il dossier è rimasto nella stanza dei negoziatori, Olly Robbins e Sabine Weyand, è arrivata l'intesa. Senza troppi leak e senza tifo 

Quelli che hanno reso possibile il contestato accordo sulla Brexit non sono stati i politici, ma i burocrati. Durante gli oltre due anni di negoziati, i leader e i tecnici hanno giocato una partita parallela che li ha spinti più volte in rotta di collisione. I mandarini hanno cercato di risolvere i problemi, di smussare gli angoli e di dare una forma concreta al “sogno della Brexit”, come la chiamano i suoi sostenitori più accaniti. Per negoziare un accordo servono competenze tecniche che solo i burocrati più esperti possiedono.

 

Ma i politici, sia i brexiteers sia gli anti Brexit, gli hanno reso la vita impossibile, mettendo in discussione il loro lavoro soprattuto per ragioni di convenienza politica. Il meccanismo è quello della tela di Penelope: i burocrati trovano un'intesa di notte, e il giorno dopo i politici la stracciano. L'ultima volta che era stato raggiunto un accordo tra Regno Unito e Commissione europea, l'allora segretario della Brexit, Dominic Raab, si precipitò a Bruxelles per dare l'altolà. Gli unionisti nordirlandesi non erano soddisfatti, e i brexiteers del Partito conservatore gridavano all'altro tradimento.

 

Ma i burocrati si sono rimessi a lavoro e hanno trovato una bozza di accordo, che adesso dovrà essere approvata dal Parlamento, dove sarà difficilissimo trovare una maggioranza. Theresa May e Michel Barnier si sono fatti da parte per la fase finale delle trattative, e hanno delegato la pratica ai loro consiglieri speciali, rispettivamente Olly Robbins e Sabine Weyand. Quella tra i tecnici è stata una negoziazione silenziosa, anonima e da cui non sono trapelate indiscrezioni sui giornali. Fino alla notizia della fumata bianca, arrivata martedì sera, che ha svegliato i politici dormienti e ha riacceso la grancassa mediatica.

  

 

Il consigliere di Theresa May sulla Brexit, Olly Robbins  


 

L'ex ministro degli Esteri, Boris Johnson, e i suoi seguaci hanno criticato l'accordo prima di leggerlo. Quattro membri dell'esecutivo, tra cui Raab, si sono dimessi perché contrari all'intesa. E questo è un sintomo della strategia di Theresa May. Le trattative certosine tra i tecnici sono valse l’intesa, ma non gli hanno dato una legittimità politica. I ministri si sono ritrovati all'improvviso con una bozza che non condividono in pieno, ma che sono costretti ad accettare perché il tempo è scaduto, e non ci sono alternative. La strategia della May era di allungare la pratica e mettere il governo di fronte a un bivio: o il mio accordo, o nessun accordo, con tutto ciò che comporta. E’ finora ha funzionato in parte: tutti i ministri, con l'eccezione di Raab e la ministra del Lavoro Esther McVey hanno accettato, e alcuni lo hanno fatto a malincuore. 

 

Ma il braccio di ferro tra tecnici e politici è stato il filo rosso degli ultimi 18 mesi. I rapporti quotidiani dei think tank e delle istituzioni indipendenti sulle conseguenze negative di un “no deal” venivano derubricati dai Brexiteers come il “project fear” (“il progetto della paura”). Rees-Mogg se la prese contro i tecnici del Tesoro, accusati di essere degli europeisti sotto copertura.

 

Il fronte dei brexiteers ha visto in Olly Roberts l'incarnazione del deep state che cerca di manomettere il loro progetto. Johnson & co. non gli perdonano le credenziali da europiesta: figlio di una ricercatrice che ha collaborato con Bruxelles, presidente dell'associazione filo-Ue Reform Group ai tempi di Oxford, dove era studente. Robbins veniva considerato troppo potente dai politici, che lo accusavano di essere il grande manipolatore di Theresa May. David Davis, l'ex segretario della Brexit con cui i rapporti erano pessimi, ha detto che “l'unica persona che veniva ascoltata dalla May era Olly (Robbins)”.

 

Secondo una ricostruzione del Financial Times, nei momenti decisivi i burocrati cancellavano gli incontri in programma coi politici, cambiavano le bozze, le facevano circolare il più tardi possibile. E i ministri ne soffrivano molto. Davis si dimise come gesto di stizza verso la proposta dei Chequers, successivamente bocciata al vertice di Salisburgo, e di cui Robbins era stato il grande architetto. Sabine Weyland – un eurocrate tedesca che ha studiato letteratura a Cambridge e con una vocazione shakesperiana – è stata meno criticata dal fuoco amico, ma ugualmente importante per il buon esito della trattativa. Si racconta di lunghi vertici notturni tra i due negoziatori, seduti al tavolo fino alle tre del mattino con delle grandi scorte di caffè. E tra di loro è nato un rapporto di collaborazione, perfino di complicità, che ha reso possibile l’accordo. Ma adesso torna in campo la politica – con le sue promesse, le accuse, i bisticci – e si prepara all'ultima battaglia in Parlamento. L'accordo è di nuovo a rischio.

Di più su questi argomenti: