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La Brexit comincia da energia e ambiente

Simona Benedettini e Carlo Stagnaro

Le regole europee del mercato energetico erano ispirate da Londra che ora si emancipa su emissioni di CO2 e scambio di elettricità col continente

Roma. Con la sospensione della partecipazione all’Emissions trading system (Ets) e degli incentivi per la sicurezza del sistema elettrico britannico arrivano dall’energia i primi effetti formali della Brexit. L’incertezza rispetto all’esito dei negoziati per l’uscita dall’Ue ha indotto il governo britannico ad annullare, la scorsa settimana, le aste in programma per l’assegnazione dei cosiddetti permessi di inquinamento in ambito Ets, il meccanismo europeo di “cap and trade” per le emissioni di gas a effetto serra dalla produzione elettrica, industriale ad alta intensità energetica e dall’aviazione.

 

Le imprese europee operanti in questi settori hanno l’obbligo di procurarsi permessi, con cui coprire le proprie emissioni di gas serra, attraverso aste, come quelle sospese nel Regno Unito, oppure mediante negoziazione su piattaforme regolamentate. Attraverso lo scambio delle quote si forma un prezzo (euro / tonnellata di CO2 equivalente) che, nelle intenzioni della Commissione Ue, dovrebbe incoraggiare la transizione verso tecnologie pulite favorendo così il raggiungimento dell’obiettivo europeo di riduzione delle emissioni al 2030 pari almeno al 40 per cento rispetto ai livelli del 1990.

 

Tuttavia, complice la recessione che ha duramente colpito l’attività economica e dunque depresso la domanda di permessi, il prezzo delle quote di emissione si è aggirato, negli ultimi anni, intorno a un modesto 5 euro / tonnellata di CO2 equivalente. Solo negli ultimi due trimestri è tornato tra i 15-20 euro. Un balzo dovuto prevalentemente al cosiddetto backloading, una misura di sostegno ai prezzi attraverso il ritiro dei permessi in eccesso rispetto a una soglia prefissata.

 

In caso di “no deal”, il Regno Unito abbandonerà l’Ets. Che fare delle rispettive quote di emissioni di competenza? Redistribuirle tra gli altri stati membri? Sospenderne momentaneamente la disponibilità per non abbattere i prezzi della CO2? Con quali tempistiche e volumi renderle poi nuovamente disponibili per lo scambio? Se, invece, un accordo ci sarà, l’auspicio espresso dall’esecutivo britannico è quello di rimanere nell’Ets sino al 2020 e negoziare una permanenza anche dopo quella data. In questo caso, gli 11 milioni di permessi oggetto delle aste sospese saranno allocati con le prime utili nel corso del 2019. In entrambe le ipotesi c’è da attendersi un aumento della volatilità del prezzo della CO2 che potrebbe impattare sulle decisioni di investimento e di produzione delle imprese di tutti i paesi dell’Unione.

 

A ricordare che Brexit è un problema anche europeo è poi giunta la sentenza della Corte di giustizia europea che, lo scorso giovedì, ha dichiarato non compatibile con la disciplina sugli aiuti di stato il mercato della capacità britannico. Si tratta di un sistema di aste attraverso cui si procura essenzialmente capacità di generazione elettrica, domestica o da paesi interconnessi, da obbligare a entrare in operatività, in cambio di remunerazione, in caso di rischio di black out. La decisione della Corte ha determinato la sospensione immediata dei pagamenti già aggiudicati e delle aste in programma nel 2019.

 

Un danno non solo per gli operatori del mercato d’oltremanica, che vedono scomparire dai propri bilanci i ricavi ipotizzati a budget e temono il rischio di dovere restituire quanto ricevuto a oggi. Ma anche per gli operatori di altri paesi europei che potrebbero avere effettuato investimenti sulla base del capacity market britannico. Per esempio, è attraverso questo meccanismo che i progetti di interconnessione con Francia e Belgio hanno potuto svilupparsi.

 

Con Brexit alle porte, l’impegno dichiarato dal governo a trovare una soluzione con la Commissione è difficilmente credibile. O, quantomeno, non è da escludere l’ipotesi che, non dovendo presto più adempiere le regole europee, il Regno Unito modifichi ad hoc il meccanismo, in modo da salvaguardare i produttori nazionali a scapito degli investitori esteri oppure avvantaggiando alcune tecnologie rispetto ad altre.

 

Del resto, che ci sia un progressivo sganciamento della politica energetica del Regno Unito da quella europea lo si è visto anche dalla re-introduzione di forme di regolazione dei prezzi nei mercati retail. Il paradosso è che le regole europee sono in larga parte ispirate proprio all’esperienza inglese degli anni Ottanta e Novanta. La sveglia della Brexit sta suonando.

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