Proteste a Istanbul per la scomparsa del giornalista arabo Jamal Khashoggi

I sauditi ammettono di aver ucciso Khashoggi durante un interrogatorio “finito male”

Daniele Raineri

La nuova versione saudita è ancora poco credibile ma è il frutto di un accordo tra Ankara e Riad per tentare di salvare il principe Bin Salman. Trump parla di “rogue killer”, sicari fuori controllo

New York. Tredici giorni dopo la sparizione del giornalista Jamal Khashoggi dentro il consolato di Istanbul, l’Arabia Saudita ammette di averlo ucciso in quelle stanze durante un’operazione per rapirlo e per portarlo nel regno, dove lui rifiutava di tornare da anni per motivi di sicurezza. Fonti saudite hanno fatto sapere ai media americani, a cominciare dalla rete tv Cnn, che il governo è pronto ad ammettere che un generale saudita di propria iniziativa ha organizzato il sequestro “finito male”, dopo che per due settimane lo stesso governo aveva sostenuto che Khashoggi era uscito incolume dal consolato e aveva minacciato ritorsioni economiche contro chi parlava di sanzioni internazionali. In molti avevano fatto notare le incredibili incongruenze e le prove molto pesanti a carico dei sauditi, come per esempio l’arrivo a Istanbul nello stesso giorno dell’uccisione di una squadra di quindici persone delle forze di sicurezza saudite, che poi ha lasciato la Turchia poche ore dopo la sparizione. Oppure il fatto che le telecamere a circuito chiuso non avessero mai registrato l’uscita del giornalista, anzi che non ci fossero proprio immagini di quelle ore. O, ancora, che fonti della sicurezza turca avessero annunciato di essere in possesso di audio e video dell’uccisione (i turchi hanno dato scuse poco credibili a proposito del come ne sono entrati in possesso, è possibile che avessero piazzato sistemi di sorveglianza dentro il consolato).

     

Questa nuova versione dei fatti data dai sauditi sotto pressione, sebbene più vicina al vero di prima, è ancora patetica e poco credibile ma è il frutto di un accordo riservato tra Turchia e Arabia Saudita. I due paesi – e forse anche l’Amministrazione Trump – hanno cominciato una manovra per sconnettere la morte del giornalista dalla responsabilità del principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman,che pure comanda tutti i servizi di sicurezza dopo avere speso anni per accentrarli sotto il suo controllo. L’accordo tra turchi e sauditi è un tentativo di salvare l’uomo che in teoria dovrebbe prendere in mano la guida del regno alla morte del padre, re Salman, e che in questi anni aveva speso risorse enormi per accreditarsi come interlocutore credibile con il resto del mondo. Un anno di riforme interessanti, come la possibilità per le donne di guidare e di andare allo stadio o la riapertura dei cinema? Cancellato. I 27 milioni di dollari consumati soltanto a Washington per ingaggiare lobbisti e specialisti che curassero la sua immagine e i suoi interessi? Inutili.

    

  

L’idea che “servizi segreti deviati” sauditi o – come li ha chiamati Trump in un’intervista mattutina – “rogue killer”, sicari fuori controllo, siano saliti su due aerei di solito usati dal governo saudita, abbiano avuto accesso a un consolato, abbiano prelevato un giornalista di fama internazionale dalla stanza del console, lo abbiano ucciso e fatto a pezzi e poi siano volati via senza che tutto non fosse stato autorizzato dal principe Bin Salman è francamente incredibile. Per ora è la linea dove si attesta la difesa saudita, che però ha già dovuto fare un’enorme ammissione di colpevolezza e così ha tradito la sua debolezza. Altri governi in situazioni simili, come per esempio quello russo che è coinvolto nel caso Skripal, non ha ammesso nulla di nulla. E’ chiaro a questo punto che ci sono prove davvero schiaccianti della responsabilità saudita, o la casa Saud non avrebbe accettato questa retromarcia umiliante rispetto a due giorni fa, quando davanti alla minaccia di sanzioni internazionali rispondeva con toni di sfida: “Avete bisogno più voi di noi che il contrario”.

    

  

Che ci sia un accordo con la Turchia si capisce dal fatto che il governo del presidente Recep Tayyep Erdogan ha finora giocato in modo scaltro, ha fatto capire di avere prove ma non le ha mostrate tutte, ha fatto circolare video che incastrano i sauditi ma non quelli decisivi che farebbero inorridire l’opinione pubblica. Ha insomma modulato le accuse per due settimane fino ad arrivare a un patto. E’ possibile che ne faccia parte anche l’Amministrazione Trump perché ieri, poche ore prima dell’ammissione saudita, il segretario di Stato Mike Pompeo è atterrato in Arabia Saudita e poi in Turchia. Della delegazione non faceva parte Jared Kushner, genero di Trump delegato a tenere rapporti molto amichevoli con Bin Salman. Non era il giorno adatto per farsi vedere a Riad, capitale del regno. Se i sauditi stanno provando a sconnettere il principe dall’omicidio davanti agli occhi del mondo, gli americani stanno provando a sconnettere Kushner dal principe saudita.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)