Una manifestazione a Istanbul chiede la verità su Jamal Khashoggi (foto LaPresse)

La comunità internazionale è ancora paralizzata davanti all'horror saudita

Daniele Raineri

E Salvini che voleva andare a Riad entro l’anno, che dice?

New York. La comunità internazionale per ora è quasi muta davanti al problema enorme della sparizione e del probabile assassinio dell’editorialista Jamal Khashoggi da parte del governo saudita. Ci sono state flebili richieste di spiegazioni da parte di Francia, Gran Bretagna e Unione europea ma è chiaro che non bastano – ed è una questione che riguarda tutti, anche l’Italia. A luglio il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva ricevuto l’ambasciatore saudita Faisal bin Sattam bin Abdulaziz Al Saud al Viminale e aveva annunciato la volontà di fare un viaggio in Arabia Saudita entro la fine dell’anno. Come si pone adesso nei riguardi di casa Saud? E’ una domanda che riguarda anche, per esempio, la crema dei media americani – dal New York Times alle principali reti tv – che questo mese dovrebbe partecipare a una grande conferenza a Riad tutta incentrata sul futuro. Il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, tiene molto alla sua immagine di riformatore visionario che traghetterà finalmente il paese verso il mondo contemporaneo, ma la versione del governo saudita su quello che è successo il 2 ottobre dentro al consolato di Istanbul sta crollando rapidamente, ora dopo ora. Il New York Times scrive dell’arrivo a Istanbul di due squadre di uomini delle forze di sicurezza saudite, in totale quindici, su due piccoli aerei noleggiati da una compagnia privata che serve spesso il governo saudita. Mercoledì mattina una tv turca ha trasmesso le immagini riprese dalle telecamere dell’aeroporto e vicino al consolato e confermano. Gli uomini, incluso un esperto di autopsie, sono arrivati al consolato prima di Khashoggi e lo hanno lasciato meno di due ore dopo, a bordo di sei vetture. Secondo le fonti del New York Times avevano con loro una sega per le ossa per smembrare e trasportare il cadavere di Khashoggi e hanno girato un video dell’uccisione da portare ai superiori, che sarebbe già finito in mano all’intelligence turca. Secondo il Washington Post l’intelligence americana aveva già intercettato i sauditi mentre discutevano di un piano per catturare Khashoggi – e questo apre un altro problema: avrebbe dovuto avvertirlo? Il Guardian scrive che le telecamere a circuito chiuso del consolato quel giorno erano state rimosse e a tutto il personale turco era stato dato un giorno di vacanza. I giornali turchi hanno pubblicato una lista con i nomi dei quindici sauditi che sono arrivati e ripartiti quel giorno e alcuni di loro sono già stati identificati come uomini delle forze di sicurezza, che in qualche occasione appaiono al fianco di Mohammed bin Salman. Questo è ciò che è uscito finora. Considerato che un paio di siti indipendenti hanno appena smascherato gli agenti russi mandati a uccidere un disertore a Londra e che i sauditi hanno lasciato molte più tracce, altri fatti potrebbero spuntare fuori. Il vicepresidente americano, Mike Pence, ha detto che l’Fbi è pronta a mandare una squadra per investigare se i sauditi lo richiederanno e suona come una risposta provvisoria e molto debole. Il governo turco per ora è come se avesse deciso di non infierire contro Riad e di non affondare i colpi definitivi. Per esempio rifiuta di pubblicare le immagini delle telecamere vicino al consolato che mostrano i sauditi portare fuori dall’edificio sacche pesanti – che potrebbero avere contenuto i pezzi del corpo di Khashoggi – e ieri un portavoce ha detto una frase criptica, “Abbiamo anche noi problemi con il deep state”*, che sembra un tentativo di esonerare Bin Salman e di gettare la colpa addosso a qualche settore della sicurezza troppo, per così dire, aggressivo.

 

* La teoria del deep state vuole che alcuni apparati dello stato, specie quelli della sicurezza, siano tentati di agire indipendentemente dall’autorità del governo e alcune volte contro.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)