Brett Kavanaugh (foto LaPresse)

Che cosa ci insegna la vicenda di Kavanaugh sullo stato delle ideologie e la comunicazione politica

Giovanni Maddalena

Da un lato la negazione di alcune delle celebri affermazioni sociologiche collegate alla metafora della società liquida e priva di valori. Dall'altro l'evidenza che le icone sono i segni immediati e sensibili con cui conosciamo la realtà

Ci sono due annotazioni che ci riguardano nella vicenda della nomina del giudice Kavanaugh alla Corte Suprema degli Stati Uniti.

La prima contraddice alcune delle celebri affermazioni sociologiche collegate alla troppo fortunata metafora della società liquida e priva di valori. L’idea, nata soprattutto dalla volatilità di alcuni rapporti affettivi, si è trasformata in una sorta di lettura universale del mondo da cui si traggono deduttivamente conseguenze legali e pedagogiche curiose verso un generale laissez-faire. Contrariamente a quest’idea, sono due settimane che gli Stati Uniti sono incollati al televisore cercando di capire se il giudice indicato da Trump, ma che deve avere il parere favorevole del Senato, abbia in effetti molestato in stato di ebbrezza una coetanea, quando erano entrambi teenager (lei 15, lui 17), trentasei anni fa.

 

Gli Stati Uniti, si sa, sono nati dall’emigrazione dei più fanatici tra i calvinisti e non sarebbe una sorpresa che per confermare o negare l’idoneità di un giudice costituzionale non si guardi la correttezza dei processi da lui condotti ma l’integrità della sua morale presente passata e futura. Tuttavia, non si deve essere ingenui. L’attacco sfrutta il background calvinista ma non ha niente a che fare con esso. Il fatto è che la posta in gioco è altissima: la schiacciante maggioranza che questa nomina assicurerebbe ai giudici conservatori permetterebbe di riconsiderare la famosa sentenza sull’aborto e di declassarlo da tema federale a tema statale. In pratica, ciò vorrebbe dire limitare l’aborto in molti Stati. Per questo si lotta e, curioso in epoca che dovrebbe essere liquida, lo si fa con solidissime armi di testimoni e controtestimoni, di menzogne patenti (il giudice e la sua accusatrice non possono avere entrambi detto la verità perché una testimonianza è il contrario dell’altra) e probabilmente anche di molto altro che non emerge alla cronaca. L’America è ora divisa in due più che mai e un (troppo) solido muro divide le due fazioni, accomunate però da una cosa: considerare vitali certi valori, sebbene di segno contrario. Fine dei valori e fine delle ideologie? Non sembra. Gli uni (per fortuna) e le altre (purtroppo) sembrano godere di ottima salute. Si dirà che quello è un altro mondo, ma non è vero: volenti o nolenti viviamo all’ombra degli Stati Uniti anche culturalmente e ciò che là si vede qui si vive già; la consapevolezza arriverà.

 

La seconda annotazione che ci riguarda tutti è di carattere comunicativo. Terminata la testimonianza al Senato dell’accusatrice, la dott.ssa Ford, il giudice nominato da Trump sembrava finito anche ai suoi stessi sostenitori. La testimonianza era stata toccante e credibile, nonostante alcune risposte strane e alcuni gap. Si aspettava un giudice Kavanaugh che, compassato, difendesse il proprio diniego di ogni accusa, magari con qualche argomento logico sull’assurdità di andare a vedere le ubriacature e le maldestre avances di un diciassettenne per vedere se si tratta di un buon giudice di più di cinquant’anni. Invece, il giudice è arrivato infuriato, giocando l’arma dell’indignazione del giusto fino alle lacrime e attaccando frontalmente la macchina del fango. La strategia ha funzionato; i senatori repubblicani si sono riconfortati e rimessi sulla difensiva; alla fine, è partito l’ordine di una mini-inchiesta dell’Fbi ma il momentum, la forza favorevole, è tornata dalla parte del giudice.

 

Che cosa c’è da imparare? Siamo nell’era iconica della comunicazione pubblica e politica. Le icone sono i segni immediati e sensibili con cui conosciamo la realtà: le immagini, i suoni, le sensazioni. Le icone hanno vantaggi e svantaggi. Sono più immediate, veloci, vicine agli oggetti. Ci rappresentano l’oggetto, la persona in questo caso, più da vicino, la fanno apparire più sincera e spontanea, ci sembra che essa si mostri per ciò che è. Certo, non hanno la precisione e l’articolazione logica dei ragionamenti, che si muovono su un piano simbolico. Viviamo in quest’epoca in cui il risultare sinceri e convinti di ciò che si dice conta molto di più degli argomenti logici e dell’eleganza dell’eloquio, persino nella sacra nomina di un giudice della Corte Suprema. Non penso ci sia da scandalizzarsi, ma da prenderne atto. Le complesse ideologie del momento si esprimono iconicamente. Chi vuole fare politica oggi deve essere preparato a questa dimensione più che in ogni altro tempo.

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