Manifestazione in Macedonia a sostegno del sì al referendum (foto LaPresse)

Domenica la Macedonia ha un appuntamento con l'Europa

Micol Flammini

Cosa cambierà per lo stato balcanico dopo il referendum sul nome. Chi è a favore e chi è contro

Domenica la Macedonia, o la Fyrom , o la Repubblica della Macedonia del nord, comunque si voglia chiamare lo stato balcanico, voterà per decidere con quale nome vorrà essere chiamata in futuro. Sembra una questione piccina, in fondo è soltanto un nome, ma come recita il quesito del referendum – di un europeismo quasi d’altri tempi – con un sì o un no, i cittadini diranno se sono o meno “favorevoli a un’adesione all’Ue e alla Nato attraverso l’accettazione dell’accordo tra Macedonia e Grecia”.

  
La questione del nome

Skopje vorrebbe entrare in Europa, ma c’è un problema. La nazione, per i macedoni, si chiama Macedonia e per la Grecia è inaccettabile. Per Atene, infatti con il nome Macedonia si intende la regione greca. Dopo 27 anni, forse, le due nazioni hanno trovato un accordo. E se finora lo stato balcanico veniva riconosciuto come Fyrom, ex repubblica jugoslava di Macedonia, ora potrà chiamarsi Macedonia del nord. L’accordo è stato firmato dal primo ministro greco Alexis Tsipras e dal collega macedone Zoran Zaev a giugno.

 

 
Chi vuole il sì

Il premier macedone Zoran Zaev, leader dell’Unione socialdemocratica di Macedonia, ha iniziato un percorso, molto accidentato, per portare il suo paese nella Nato e nell’Unione europea, e qualora Skopje dovesse vincere il referendum, potrebbe ambire a entrare nell’Ue nel 2025. “Ora o mai più”, ha detto il premier, per ricordare che alla nazione non si presenterà un’altra occasione. Oltre alla questione onomastica, ci sono anche altri problemi da risolvere: corruzione e delle strutture democratiche ancora fragili.

  
Chi vuole il no

Giovedì, il presidente macedone Gjorge Ivanov ha invitato i cittadini a boicottare il referendum. La vittoria del sì è vista dai nazionalisti come un disonore, la sconfitta di fronte a una disputa che va avanti dal 1991. Che sia stato il presidente – leader dell'Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone – a schierarsi, in aperta contraddizione con il premier, dà l’idea del clima e della forte divisione all’interno della società. Dalla parte del no, ci sono i partiti di ultradestra che flirtano, in modo nemmeno troppo nascosto, con la Russia.

 
La Russia

Mosca ha sempre considerato i Balcani come un suo territorio distaccato. Perdere il Montenegro, entrato nella Nato nel 2016, è stato un colpo durissimo e il Cremlino ha già detto che non ha intenzione di permettere che la  Macedonia, dove uno dei partiti, Macedonia unita, ha legami molto stretti con il Cremlino, faccia lo stesso. La Russia è stata accusata di voler interferire nel voto. Funzionari macedoni, europei e occidentali stanno monitorando i social dove gruppi sostenuti da Mosca cercano di alimentare paure e sentimenti nazionalisti al fine di ridurre l’affluenza

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